Statira, Venezia, Pitteri, 1756

 SCENA VII
 
 ROSANE, poi STATIRA
 
 Rosane
 Infelice Learco, io di te meno
225tormentata non son. T’amo, t’adoro
 ma il dover, ma il decoro
 mi costringe a soffrire,
 a penare, a tacere e poi morire.
 Odio il volto di Arbace,
230sol Learco mi piace e pur io deggio,
 poiché la gloria mia serbar io bramo,
 strigner chi abborro e abbandonar chi amo.
 Statira
 Rosane, io di te prima
 nacqui alla luce e di te prima amai;
235perciò comprendo assai
 più di quel che tu vedi
 e conosco il tuo cor più che non credi.
 Rosane
 Che vuoi dirmi perciò?
 Statira
                                             Se mai Learco,
 ch’io testé vidi sospirando e solo
240dal tuo fianco partir, se mai foss’egli
 la tua fiamma, Rosane, amalo; è degno
 il prence del tuo amor. Chi ti consiglia
 sposa fu di tuo padre ed è regina.
 Rosane
 Ma quel che mi destina
245lo sposo è il genitore
 ch’io serbo ognior presente,
 vivo nella mia mente e nel mio core.
 Statira
 Dunque Arbace tu brami.
 Rosane
                                                  Io nol richiesi
 ma non dee ricusarlo il mio rispetto.
 Statira
250Non comprendo se in petto
 vanità ti seduca o pur amore.
 Rosane
 Non conosci tu ben dunque il mio core.