Statira, Venezia, Pitteri, 1756

 SCENA VI
 
 Appartamenti nella reggia.
 
 LEARCO E ROSANE
 
 Learco
 Rosane, addio.
 Rosane
                              Dove, Learco, dove
 mesto così?
 Learco
                         Vado a morire altrove.
 Rosane
 A morire! Perché?
 Learco
                                     Perché non soffre
180il cuor di te geloso
 rimirarti vicina ad altro sposo.
 Rosane
 Ma non lo sono ancor.
 Learco
                                          Pochi momenti
 restano, ingrata, a stabilir il nodo.
 D’intorno altro non odo
185che replicar i nomi
 di Rosane e di Arbace;
 e vuoi ch’io soffra in pace
 un tormento sì rio?
 No, soffrirlo non so; Rosane, addio.
 Rosane
190Fermati; io tel comando
 con quell’autorità che sul tuo cuore
 mi concedesti.
 Learco
                              Oh dio!
 Mi conviene obbedir. Ma se poi resto,
 che sperar potrò mai? D’Arbace al nodo
195se acconsente il tuo cor, quale lusinga
 può rimanermi allora?
 Rosane
 Sposa d’Arbace io non divenni ancora.
 Learco
 Ah dimmi che non sdegni
 la mia fé, l’amor mio,
200che Learco anteponi ad uno sposo
 dal genitor non dal tuo cuore eletto;
 dimmi che il puro affetto
 t’accese alfin, con cui finor t’amai.
 E allora mi vedrai
205tutto soffrir, tutto sperar. Col sangue
 ricuperar m’impegno
 la tua tradita libertà. Coraggio
 non mi manca, Rosane; ardisci, imponi;
 tutto saprò tentar; tutto, mia vita,
210farò per te, purché un tuo sguardo solo
 del tuo amor m’assicuri. Ah tu non parli?
 Ma che creder poss’io?
 Ma che sperare? Oh dio!
 Son sinceri i tuoi detti o son mendaci?
 Rosane
215Credi pur ciò che vuoi; ma resta e taci.
 Learco
 
    Sì, resterò, se il chiedi,
 sì, tacerò, se il brami.
 Pronto son io, se mi ami,
 tutto a soffrir per te.
 
220   Sia l’obbedirti o cara
 della mia fede un pegno.
 Dimmi, qual altro segno
 brami d’affetto in me? (Parte)