Statira, Venezia, Pitteri, 1756

 SCENA III
 
 ARBACE con seguito, preceduto da militari strumenti, e dette
 
 Arbace
 A’ piedi tuoi, regina,
70il tuo fido vassallo umil s’inchina.
 Statira
 Principe, sorgi ed i trionfi tuoi
 da me accolgan primiera
 parte di que’ tributi
 che son dal regno al tuo valor dovuti.
75(Mi perdo, oh dio! se più lo miro). (Da sé)
 Arbace
                                                                  Alfine
 vinti son gli Abelliti,
 quei che ribelli arditi
 gionsero a provocar... Ma qui Rosane?
 Perdonami, se prima
80a te non volsi inavertito il guardo.
 Rosane
 Generoso favor non è mai tardo.
 Arbace
 Regina, il dì s’appressa
 destinato alle nozze; io non vorrei
 dal labbro di Rosane
85il rimprovero udir di tardo amante.
 Si sa che d’un istante
 un secolo formar suol chi ben ama.
 Statira
 Un saggio cor sa moderar la brama.
 Non è, non è, qual credi,
90Rosane impaziente
 del felice imeneo.
 Arbace
                                   Forzata forse
 a me porge la destra? Odi Rosane,
 non m’ingannar, non ingannarti. Il padre
 a me ti destinò. Ma se ripugna
95il tuo voler, non soffrirò che venghi
 strascinata all’altare.
 Rosane
                                        Un cor di figlia
 coll’obbedienza il suo voler consiglia.
 Arbace
 Ma lice anche talvolta
 con amor consigliarsi.
 Rosane
                                           Ignoto ancora
100è al mio cuor questo nume.
 Statira
                                                    Odila, Arbace;
 come da lei potresti
 sperar pietà, se non conosce amore?
 Rosane
 Non son crudele; il cuore
 ho di pietà capace;
105forse un giorno amerò (ma non Arbace). (Da sé, indi parte)