Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano, Mosca, Stamperia Imperiale, 1759 (Il mondo alla roverscia)

 SCENA VI
 
 Camera.
 
 GIACINTO collo specchio in mano guardandosi con caricatura
 
 GIACINTO
 
    Madre natura,
195tu m’hai tradito
 ma t’ho schernito
 col farmi bello
 con il pennello,
 come le donne
200sogliono far.
 
 Questa parucca invero,
 questo capel, che colla polve è intriso,
 fa risaltar mirabilmente il viso.
 Al ragirar di queste
205mie vezzose pupille
 spargo fiamme e faville; e questa bocca,
 che sembra agli occhi miei graziosa e bella,
 fa tutte innamorar quando favella.
 Queste donne son tutte
210invaghite di me; schiavo son io
 di queste belle, è vero,
 ma sovra il loro cor tutt’ho l’impero.
 Ecco la vaga Cintia. Presto, presto,
 il nastro, la parucca, i guanti, tutto,
215tutto assettar conviene e gli occhi e il labbro,
 colle dolci parole e i dolci sguardi,
 si prepari a vibrar saette e dardi.
 CINTIA
 (Ecco il bell’amorino).
 GIACINTO
 Mia sovrana, mio nume, a voi m’inchino.
 CINTIA
220E ben, che fate qui?
 GIACINTO
                                       Qual farfalletta
 d’intorno al vostro lume
 vengo, mia bella, a incenerir le piume.
 CINTIA
 Parmi con più ragione
 vi potreste chiamare un farfallone.
 GIACINTO
225Quella vezzosa bocca
 non pronuncia che grazie e bizzarie.
 CINTIA
 La vostra non sa dir che scioccherie.
 GIACINTO
 Deh lasciate ch’io possa
 coll’odoroso fiato
230de’ miei caldi sospiri
 quelle belle incensar guancie adorate.
 CINTIA
 Andate via di qua; non mi seccate.
 GIACINTO
 Ah, se sdegnate, o bella,
 i fumi del mio cor, porterò altrove
235il mio guardo, il mio piede,
 il mio affetto sincero e la mia fede.
 CINTIA
 Olà, così si parla?
 Voi staccarvi da me! Voi d’altra donna
 servo, schiavo ed amante!
240Temerario, arrogante,
 voi dovete soffrir le mie catene.
 GIACINTO
 Qual mercede averò?
 CINTIA
                                          Tormenti e pene.
 GIACINTO
 Giove, Pluton, Nettuno,
 dei tremendi e possenti,
245voi che udite gli accenti
 d’una donna spietata,
 spezzate voi questa catena ingrata.
 Sì sì, Nettun m’inspira,
 Giove mi dà valore,
250Pluto mi dà furore;
 perfida tirannia,
 umilmente m’inchino e vado via.
 CINTIA
 Fermatevi; ed avrete
 tanto cor di lasciarmi?
255Voi diceste d’amarmi,
 di servirmi fedel con tutto il core
 ed ora mi lasciate? Ah traditore!
 GIACINTO
 Ma se voi mi sprezzate,
 se voi mi dileggiate,
260come s’io fossi un uom zottico e vile,
 e studio invan di comparir gentile.
 CINTIA
 Senza studiar, voi siete
 abbastanza gentil, grazioso e bello.
 Quell’occhio briconcello,
265quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
 m’hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
 GIACINTO
 Dunque, cara, mi amate?
 CINTIA
                                                 Sì, v’adoro.
 GIACINTO
 Idol mio, mio tesoro,
 lingua non ho bastante
270per render grazie al vostro dolce amore.
 Concedete il favore
 che rispettosamente
 e umilissimamente
 io vi possa baciar la bella mano.
 CINTIA
275Oh signor no; voi lo sperate invano.
 GIACINTO
 Ma perché mai? Perché?
 CINTIA
 Queste grazie da me
 non si han sì facilmente.
 GIACINTO
 Io morirò.
 CINTIA
                      Non me n’importa niente.
 GIACINTO
280Dunque, se non v’importa,
 d’altra bella sarò.
 CINTIA
                                  Voi siete mio.
 GIACINTO
 Che ne volete far?
 CINTIA
                                    Quel che vogl’io.
 GIACINTO
 Ah quel dolce rigor più m’incatena.
 Soffrirò la mia pena,
285morirò, schiatterò, se lo bramate,
 basta, bell’idol mio, che voi mi amate.
 
    Cara Cintia allor che voglio
 da te lungi andar un passo,
 sento in me sì gran cordoglio
290che m’impetro come un sasso.
 Perdo i sensi, son gelato,
 resto immoto in mezzo qua.
 
    Quel bel volto, anima mia,
 ah, il mio cor già pena e smania,
295tu conosci, tu ben vedi
 che scolpito è in petto a me.