Farnace, Venezia, Rossetti, 1739

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 SCENA III
 
 FARNACE e TAMIRI
 
 FARNACE
 Quanto mai fu crudele
 la tua pietà nel dar la vita al figlio!
755Sol così lo perdesti,
 sol così l’uccidesti.
 TAMIRI
 Ma del ciel la clemenza
 con la man di Pompeo a me lo rende.
 Son rea però di mille morti e mille
760a te ne chiedo. Squarcia questo petto.
 Ma caro sposo, allor che ai piedi tuoi
 languirò moribonda
 in questo petto istesso
 ravvisa la cagion dell’error mio
765e riconosci, oh dio!
 che vivo il figlio al genitor serbai,
 perché nel figlio il genitor amai.
 FARNACE
 Ah Tamiri, purtroppo
 nella tua tenerezza
770riconosce il mio cor la sua fierezza.
 Vivi che forse il cielo
 qualche raggio di luce e di speranza
 ben farà scintillar sui casi nostri.
 E se pur fia che mostri
775sempre armato di folgori il sembiante,
 sappi che in ogni istante
 libera è la nostr’alma
 e che al desio del forte
 può la vita mancar ma non la morte.
 TAMIRI
 
780   Forse, o caro, in questi accenti
 col tuo labbro mi favella
 qualche nume o qualche stella
 che rigor più non avrà.
 
    Qualche nume che vorrà,
785qualche stella che saprà
 raddolcir i miei tormenti,
 consolar la fedeltà. (Parte)
 
 FARNACE
 Sì qualche nume o qualche stella alfine
 ne darà qualche aita. Il cielo sempre
790d’aspre saette armato
 non fulmina sdegnato,
 d’uopo è soffrir finch’ei non cangi tempre.
 
    Anche il nocchier talora
 quasi dal mare è assorto
795ma poi nel caro porto
 ritorna a respirar.
 
    Nel duolo ancor ristora
 un raggio di speranza,
 si può colla costanza
800il fato suparar.