Metrica: interrogazione
97 sdruccioli in L'ippocondriaco Venezia, s.n., 1735  (recitativo) 
sentovi esaggierar per questa camera?
                             Benissimo.
V’obbedisco, signor; via comandatemi.
della mia infermità siete certissimo.
                                         Dentro lo stomaco
che strugeria in un dì più di sei pecore.
                  Agitatissimo.
Lasciate ch’io lo senta; egl’è durissimo.
Alla vostra virtude io raccomandomi.
(Sei ben raccomandato). Assicuratevi
del mio buon cor. Promettovi
                                              Adesso subito.
che ad ogni lieve mal fan trenta recipe.
La mia borsa lo sa quel che costumano.
Né meno un di quei semplici
danno ai grassi ed ai magri, ai vecchi e ai gioveni.
Ma qual sistema è il vostro?
                                                    Io degl’empirici
Fondato il mio sapere ho nella pratica,
ne so quanto mi basta, benché dicesi
                            Mi piace il vostro spirito,
                                   (Sei nella trapola).
che in italian vuol dire oro bevibile.
Quello che cercan tutti e mai nol trovano?
Appunto quello; io lo trovai prestissimo.
E ve lo insegnerò con modo facile.
unitela coll’acqua de’ filosofi,
licor che rende l’uom robusto e vegeto.
E può formar la traduzion metalica.
Non intendo il principio; egl’è oscurissimo.
Così parliamo noi. Basta, prendetevi
per or la sanità. Tutto bevetelo,
se volete guarire. (È pien d’arsenico).
                                   Su via finiamola.
soglion far dei spropositi).
                                             Signor, io dubito...
                               Di qualche anteparistasi.
(Questo riso m’annoia). Orsù sentitemi,
il licor beverò ma compiacetevi
                                      (Non bevo tosico).
bever non dee la medicina il medico.
                                    Quest’è impossibile.
                 Perché egl’è arsenico.
abiti da par mio non mi mancavano,
vorrei fingerlo almen; non è difficile
«Qui giace il prestantissimo
che ucciso fu per suo destin maledico
non so ben se dal male o ver dal medico».
s’usurpa il nostro lucro, il modo facile
Oh cosa mi narrate! Io che non pratico
a una tal novità rimango estatico.
«Dolce Ranocchio mio qual pan di zuchero,
cor mio, fegato mio, mie care viscere,
morirò senza te? Già il cor mi palpita,
sento che dal dolor mi viene il vomito,
che ti rese ver me qual can tricerbero».
Indi così dicea: «Se Giove o Venere
nella grazia del mio Ranocchio amabile,
e fedel gli sarei più di Proserpina».

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