Metrica: interrogazione
246 settenari (recitativo) in Le donne redicole Roma, Grossi, 1759 
Non li posso soffrire. (Torna a sedere)
                       Bravissimo.
Come, lei non applaude? (Ridendo)
Le faccio riverenza. (In atto di partire)
                             Oh tu sempre
                          Oh senti!
                                E come!
               Ci son.
                              Adesso (Entra nell’altro vaso)
Andiamo un po’ a vedere. (S’alzano e girano intorno alla fontana)
Via, non temer; seguiamo, (Tornano a sedere)
Qual freddo gelo... io sento...
Mie luci, che mirate? (Esce dal vaso)
                   Senti Macrobio?
                   Sì sì, mia bella...
                      Don Tiberio?
                                     Andate,
(Oh! Questa è un’altra scena).
                      Son io,
                 Che robba è questa?
Ma gradirebbe lei... (A Vespetta)
Chi è di là? Un altro specchio. (Esce un servitore che poi torna col specchio)
Tra quel «mio», quell’«addio»,
Sol quel «mio», quell’«addio»...
Non so, direi... Ma oh dio!...
Quell’«oh dio!» quell’«addio»
Si fermi in grazia lei... (S’arresta con grazie e dice)
Quest’è Tiberio al certo...
Prenda signora mia... (Gli dà il caffè)
ci divertiamo un poco. (S’alzano e vanno ad uno de’ tavolini a giocare)
Vi servo. Andiamo o caro. (S’alzano e vanno al tavolino)
                             Anch’io.
Quella è Vespetta al certo. (A Moschina)
Via dunque, mascherina. (Tocca la mano a Vespetta)
E lei con chi l’ha. (S’alzano Macrobio e Tiberio, indi Moschina e Vespetta)
                                  Adesso
Deh! Fermatevi in grazia. (S’alzano tutte le maschere e timorose vanno via e poi tornano)

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