Metrica: interrogazione
462 endecasillabi (recitativo) in Il negligente Venezia, Fenzo, 1749 
non possa star senza pensare a niente?
Con questo tutto il dì rompermi il capo,
mi farete morir, voi lo sapete,
faticare, pensar m’annoia e spiace.
Ah caro padre, come mai potete
miserabili affatto oggi restiamo?
io lo pago e non voglio altro pensiere!
Quant’è che a ritrovarlo non andate?
                                      Lodato il cielo.
Non la finite mai d’uscir dal letto.
Mai ben le cose vostre andar non ponno.
Oh che dolce dormir quando s’ha sonno.
                                    Morto è suo padre.
Mi rassembra però sia troppo ingrata;
                                   Ci pensaremo.
                                        Oh che pazienza!
Io cresco nell’età. Son figlia sola.
ed ancor non pensate a darmi stato.
                             (A far lo stato mio,
se non ci pensa lui, ci penso io). (Parte)
di far nascer le figlie ed allevarle,
pensar anche bisogna a maritarle.
                                           Oh Porporina,
                                             Ho un’ambasciata
                                       Io non ho voglia
                                     Oh non ci è tempo
da perdere, signor. Sentite...
                                                     Oibò.
                                      Oh nome odioso!
                                              Vi fa sapere
esser la vostra causa in spedizione.
Si spedisca. La nuova aspetterò.
                                    Ne manderò.
Ma spicciatevi prima il palazzista.
o almen qualche risposta a lui mandate.
                            Signor. (Di dentro)
                                            Vien qui.
                                                                Non posso.
(Eh più sciocco padron non vidi mai).
Bisogna compatir la servitù.
che un’ora gli si dia di libertà.
cercherai conto di messer Imbroglio.
di sostenere in punto di ragione
ch’io son chiamato alla sostituzione.
Digli che il testamento parla chiaro.
e che, quando bisogni, il cercherò.
               Basta, ih ih, che diavol fate?
Te lo tornerò a dir. Oh che fatica!
                                   Ben.
                                              Vedrai
                                    Sì.
                                            E gli darai
                           Fin qua me ne ricordo.
               E poi che il testamento io l’ho,
e che sostenga ben la mia ragione.
Caro signor padron, fatemi grazia,
quella prostituzion cosa vuol dire?
quel non dicessi che diceste voi?
Oh son stanco! Di’ tu che diavol vuoi.
se mi ricordo più cosa m’ha detto.
qualche cosa dirò. (Vuol partire)
                                    Ehi, ehi, Pasquino.
                                        Così tu parti,
Più bene non mi vuoi, Pasquino mio?
Ma per non mi scordar la mia lezione
io me n’andavo a dire a ser Imbroglio
del testamento e la prostituzione.
quando mi levo e quando vado a letto
penso sempre, mia cara, a quel visetto.
                                  No ch’io non burlo,
                                 Eh furbacchiotto,
                                     Per te son cotto.
Vanne e ritornerai poscia da me.
Se premesse al padron, v’andria da sé.
Non mi ricordo più dov’abbia a andare.
                     La borsa l’ho da dare...
stavolta più di voi sono imbrogliato.
Io mi vuo’ maritar. Pasquino, è vero,
è un poco sempliciotto; ma talvolta
suol esser per la donna un buon marito.
                                       Oh mio padrone,
                            Trovai la porta aperta.
Quando trovate aperto e voi entrate!
                    È in casa.
                                        Si potria vedere?
Se avete da parlar di qualche affare
so che siete una giovine prudente,
di veder lui non me n’importa niente.
                                     Ah, ah, v’ho inteso.
non cercate Marforio ma Pasquino.
                       Possibile che siate
                           Andate via, vi dico.
                               Come sarebbe a dire.
                            Questi futuri
non mi piacciono punto. Andate via.
                                       No no, non posso.
per caparra di quel ch’io vi darò.
                          Non vorrei...
                                                   Prendete.
E alla figlia non pensa niente, niente.
                            No no, non dubitate,
tra lei e me non vi puol esser male.
Io non posso veder patir nessuno.
è, come siete voi, gentil così,
m’addoprerei per lui la notte e il dì.
Dice ben Porporina, dice bene;
colle donne oggidì la passa male.
amami di buon cor che t’amo anch’io.
non v’è niente che dir. Siamo felici,
io voglio bene a te. Ma il punto sta
che io poderi non ho, non ho mestiere;
il gusto dell’amor presto a finire
e s’avessimo poi, cara, a pentire.
da quell’arti che a lui poco son note,
mi vorrà bene e mi farà la dote.
                                   Lo so.
                                                Sappi che siamo
interessati nella lite in terzo.
Io per il primo, il conte e ser Imbroglio.
                                      Sì, ti pare
cosa strana? È così. Siam tre d’accordo
Il conte fa la principal figura;
Imbroglio al precipizio apre la strada;
io vo tenendo Filiberto a bada.
Dunque si può sperar che vada bene.
Si può sperar ma dubitar conviene.
Dalla rete o dal laccio ei sarà preso.
goderem lietamente il matrimonio.
senza filosofar pigliam marito.
                                   Bene, bene, (Verso la scena)
si farà, si farà, non mi stancate.
La mia grazia lo sai che tutta è tua.
                                 Se lo dico.
L’ho cercata mezz’ora. Oh che fatica.
per sollevarvi da cotanti affanni.
                                          Una sposina.
Una sposina? Sì; ma il matrimonio
il marito dev’esser uom valente;
ed io sono avvezzato a non far niente.
che sapesse di conti e di scrittura.
sapesse favellare a tu per tu
e sapesse frenar la servitù.
Oh il ciel volesse che una donna tale
Non so dire per lei cosa facessi.
Per vendere e comprar son nata apposta.
                     So di conti e di scrittura.
Ed ho l’ecconomia già per natura.
per far le cose dritte apparir torte
e so andar, quando occorre, per le corte.
                                    Quanto è bagiano!
Spero che il laccio non sia teso invano.
                                            Oh signor no.
E s’io ti proponessi un buon partito?
                                         Via, parla schietto.
Quando fosse il marito come voi...
Tuo marito sarò, se tu mi vuoi.
Ma io povera sono e non ho dote.
che graziosa non sono e non son bella.
Cara, tu agli occhi miei sembri una stella.
L’ho sempre detto ch’è una buona figlia
Aurelia, di buon’indole e talento,
e di prenderla in moglie io son contento.
Ma quando? Eh si farà! Ma mi potrebbe
fuggire dalle mani. Andiamo subito,
pria che qualch’altro amor n’occupi il loco.
N’andrò ma pria vuo’ riposarmi un poco. (Siede)
Signor padre, un affar di gran premura
Di grazia andate e tornarete poi.
                                       Dorindo, il figlio
                                    Mi brama in moglie.
ma per non annoiarvi ei si trattiene.
                                     Aspetti pure.
                                            Ma quando?
se non ci andate voi ci anderò io.
risoluta si porta? Andar conviene.
Eh, per ora non voglio incomodarmi.
non mi lasciano in pace un sol momento.
            Il causidico mio.
                                            Non l’ho veduto.
a palazzo, signor, sono arrivato
e il causidico già se n’era andato.
                                            Gnorsì.
                                               Eccola qui.
Questi pochi denar son risparmiati.
                                L’ho già contati.
Ma incomodar non mi vorrei. Pasquino
tieni le chiavi... No... Fidarsi troppo
non istà bene. Adesso. Porporina.
porta e lo scrigno. Aiutale Pasquino.
Subito. (Pesa poco, è ormai finito).
(Volea darmi le chiavi e si è pentito).
(Chi non si fida merta esser gabbato).
(Di trapolarlo il modo ho già pensato).
                              Tieni, aprilo tosto.
                        Brava.
                                       Altro da noi comanda?
Andate pur; da me mi divertisco.
Serva, signor padron. (Parte)
                                          La riverisco. (Parte)
Con quattro paroline io l’ho incantato,
                              Come facesti
                                    Io, tu lo sai,
misto così tra il furbo e il sempliciotto,
che ogniuno che mi parla resta cotto.
altri si cucinasse al tuo bel foco.
Se geloso sarai, goderai poco.
Basta; ne parleremo. Ma io penso,
sol coll’idea di divenir tuo sposo.
col pretesto di far la soscrizione
al contratto nuzial, la donazione.
Oh gran donna! Oh gran donna! Io col tuo esempio
l’aggiustamento della lite. A lui
e quand’egli mi creda il colpo è fatto.
nati siam veramente uno per l’altro.
Tua sarò ma non voglio gelosia.
Dammi la bella man. Lascia che almeno
Sì, caro, ecco la man, se tu la vuoi,
del mio core e di me dispor tu puoi.
Quando, quando verrà quel dì beato!
                                                (Oh maledetto!)
caro il mio ben, che sempre parlerei
e ne chiamo Cornelio in testimonio.
                                        Mi vuol gran bene?
E lei: «Quando verrà quel dì beato!»
Ed io di Filiberto sol parlai.
si tenevan le man sì bene unite?
Io lo facea senza pensare a niente.
Era una cerimonia indiferente.
Che ceremonia? Andate via di qua.
                                      Non mi parlate.
                                  Vostro danno.
Filiberto crudele, io manco, io moro. (Finge svenire sopra una sedia)
Un qualche spirto vi vorrebbe al naso.
Acqua della regina. Oh che gran caso! (Parte)
                                      Oh che bel pazzo!
                                           Il so ancor io.
                                    Alla lezione. (Torna in atto di svenuta)
(Chi alla femmina crede è un gran minchione).
                               Dubito sia morta.
E pur non è venuta niente smorta.
Se voi non mi credete, io morirò.
Aurelia è offesa e sono offeso anch’io.
ch’io venga in casa vostra a far l’amore,
io vi son servitore. (Vuol partire)
                                     No, sentite.
avevo poste ben le cose a segno
ma vado adesso a rinunziar l’impegno.
Ah per amor del ciel, non vi stancate
                                        Già l’avversario
E trattava con me l’aggiustamento.
Volesse il ciel che fossimo aggiustati;
e goder la mia pace anch’io potrei.
                                    Ma non potreste
                          No, Cornelio caro,
non fate che il piacer mi riesca amaro.
                                 Datemi almanco,
sottoscritto da voi, un foglio in bianco.
del resto tutto a voi lascio l’imbroglio.
Eccovi il calamar, la penna e il foglio. (Tira fuori tutto di tasca)
affermo quanto sopra si contiene».
di testa mi veniva un giramento.
                    La fatica è un gran tormento.
Manco mal che la sorte mi provede.
Mi ama Aurelia; Cornelio è tutto fede.
(Ecco il padron). (Parlano in disparte fra di loro non sentiti da Filiberto)
                                  (Chiedamogli perdono).
(E poi in cucina torneremo amici).
Non lo faccio in due anni. Oh che tormento!
                              Signor padrone mio.
                                     Vi baccio il piede.
                      È stata lei che ha detto:
Sei stato tu. Colui è un disgraziato, (A Filiberto)
mezzo il vin della botte ha traccanato.
E giù per il balcon cala i presciutti.
                                               E la farina
                              Ti voglio far la spia.
e si suona alle spalle del padrone.
                                           Padron carissimo.
Orsù per non far torto all’uno o all’altro,
giacché ha fatto ciascun le parti sue,
vi licenzio di casa tutti due.
Senti, per causa tua. (A Porporina)
                                        Per te, briccone. (A Pasquino)
il povero Pasquin, sappia, è innocente.
E quel che ho detto non è vero niente).
                (Signor padrone una parola. (A Filiberto piano)
Per rabbia ho detto mal di Porporina.
Peraltro ella è innocente, poverina).
                          Il ciel ve lo perdoni.
                                     Sarò fedele.
Fedel sarò, sull’onor mio lo giuro.
Sulla mia pudicizia io v’assicuro.
a trovarne altri due sarò impicciato).
Per questa volta ma se un’altra arriva...
Oh caro! (L’accarezzano e accarezzandolo con caricatura l’infastidiscono)
                   Oh benedetto!
                                                E viva, e viva.
Per questa volta è andata bene.
                                                          In grazia
                                 Sì, gioia mia bella,
che può star, per dottrina, in paragone
d’Ovidio, Quinto Curzio e Cicerone.
io non so d’aver detta una bugia.
Sì, Pasquin, sarò tua, se mi vorrai.
lascierei la minestra, il pane e il vino.
                                           Cosa?
                                                         La mano?
Che tu mi dica il ver non son sicura.
Vuoi che ti mostri il cor? Dammi un cortello;
                                          No, poveretto;
Ma un po’ di gelosia mi dà martello.
Maledetta disgrazia è l’esser bello!
                                     Sì.
                                             Quel bocchino
                                    Sì.
                                            Quel visetto
                                   Sì, tutto, tutto.
                                      Io son distrutto.
                                  Cosa?
                                                Farlo adesso...
                                        Ma io già peno.
                                        Io vengo meno.
                           Che vuoi tu sapere?
                                    Quel che mi pare. (Vuol seguir Porporina)
Tu non devi saper quello che passa
fra Porporina e me. Non vuo’ ch’ei sappia
Porporina dev’esser moglie mia.
Mi meraviglio di vussignoria.
(Mi voglio divertir con questo sciocco).
                                         Come! Oh diavolo!
Non può star, non sarà, nol posso credere,
mi vuol ben, me l’ha detto e l’ha giurato.
Di te gioco si prende ed ha scherzato.
di far il matrimonio di nascosto
Femmine, traditore, ingrato sesso.
Sentimi, non è ver... Quasi mi spiace
aver dato al meschin sì gran cordoglio.
il tormento crudel di gelosia.
che a beare mi vien cogl’occhi suoi.
                                           Cara Lisaura,
tutti siamo traditi. Ho discoperta
di spogliar Filiberto oggi si brama.
Cornelio, il conte e ser Imbroglio uniti
al vostro genitor fanno la lite.
Dimani si farà l’aggiustamento.
ha dato un foglio sottoscritto in bianco.
                                     Da uno scrivano
di ser Imbroglio che a pietà s’è mosso
e di voi e di me. Quello che stese
la scrittura, per noi, del matrimonio.
                                      Già ho rimediato.
Vuo’ che l’ingannator resti ingannato.
sottoscriver facciate questa carta. (Cava dalla tasca un foglio)
scherniremo Cornelio e ser Imbroglio.
Tutto per voi farò. Già il padre mio
                                               E questo è bene.
contien di nostre nozze il sol contratto.
Ei vi metta il suo nome e il colpo è fatto.
                                  Non dubitate.
l’inganno, se va bene, ancor si loda.
cotanta iniquità? V’è su la terra
rapir l’altrui con esacrando eccesso?
E lo soffrono i numi? E stride invano
l’empio che il genitor tradire aspira?
Seco voglio sfogar lo sdegno e l’ira.
potermi cimentar col viril sesso?
che ancor nel petto mio si cela un core,
di coraggio ripieno e di valore.
ma Lisaura, Pasquino e Porporina
perché i disegni miei riescan felici.
incomincio a provar la mia lezione.
Oh non ti avessi conosciuta mai.
T’han fatto qualche insulto?
                                                    Sì, m’han fatto
voialtre feminaccie indiavolate.
Così il diavol portasse via colei.
Se tu volessi un po’ di bene a me,
tutto questo mio cor saria per te.
                             No, credimi, o caro,
vendicar mi potrei di Porporina.
Se ci vede il padron, cosa dirà.
E si vada il padrone a far squartare.
                         Sì sì, vada in malora
lui, la sua casa e Porporina ancora.
il signor Filiberto agl’occhi miei.
Più non posso di cuor mirar colei.
                                    Se vi degnaste...
                         Vostro sarei, m’impegno.
                                              (Oh core indegno).
Sì, mio caro Dorindo, eccovi il foglio.
Il padre, che di me non ha sospetto,
ieri l’ha sottoscritto e non l’ha letto.
quant’opportuno a noi fia questo foglio.
e ser Cornelio e il conte, ch’è un bagiano,
che la biscia ha beccato il ciarlatano.
Oggi se mi seconda amica sorte,
spero di divenire a voi consorte.
Oggi si rivedrem; Lisaura, addio. (Parte)
Quand’un’alma dovrebbe esser contenta,
timore e gelosia l’alma tormenta.
O signora Lisaura, le son serva.
Ella è sempre più bella e più vezzosa.
quest’è un affar che a voi non preme nulla.
fosse al suo cor. (Non me n’importa un fico).
che voi di questa casa andaste via.
Grazie alla sua bontà. V’andrò ma forse
e si ricorderà d’Aurelia un giorno.
                               Oh già si sa
che una dama di rango non si degna
rammentarsi di me vile ed abietta.
Siete, Aurelia mia cara, una fraschetta.
quale sarà del simular l’effetto.
assicurata alfin la nostra sorte.
                                    Abbiam buscato
trentamilla ducati e siamo in tre,
diecimilla de’ quai toccano a me!
                                  Nulla mi preme.
I diecimilla li godremo insieme.
ora meco è sdegnato). (Da sé)
                                           Che ne dite,
                                          Ma il denaro
Fra tanto si potressimo sposare.
Ciò si fa facilmente. Ecco la mano.
                                     Son tuo marito.
                                     Oh che contento!
Volete udir gl’articoli ed i patti?
                                           Oibò.
                                                        V’intendo.
                                  Oibò.
                                               Ma questo,
rotto è il contratto e in lite ritornate.
                                Saper volete
                      Oibò.
                                   Ma come si farà.
Oggi dunque verrò da voi col conte;
fate che le monete siano pronte. (Parte)
oh che cosa noiosa! Palazzisti,
che vocaboli amari! Oh benedetta
Oh che gran bella cosa è il non far niente!
(D’averla abbandonata io son pentito).
                                  (Oh povero Pasquino!)
(Far la pace vorrei ma non conviene
di chiamarla ma temo un qualche oltraggio).
                                      (Pasquin coraggio).
Compatisca, signor. (Gli passa dinanzi)
                                       La compatisco.
                              È in colera con me?
Lei badi a’ fatti suoi, ch’io bado ai miei.
lasciar per un amante il suo marito!
e abbandonar così la propria sposa!
Ed io per far servizio alla padrona.
Con Aurelia scherzai, credilo a me.
Giuro ch’io non amai altri che te.
                                               Purtroppo, ingrato.
Ed io son di te sola innamorato.
                                          Ho tanto pianto!
                                         Signor no.
                                         Facciam così. (S’abbracciano)
se tornate a svenir, sarà tutt’uno.
                                   S’anco vi vedo
colla spuma alla bocca, io non vi credo.
                                     Eh siete matto?
                                  Come!
                                                 Che sento!
Convien pagare o da una nuova lite
Ecco lo scrigno colle chiavi ancora.
Fermatevi, signor, che nulla tiene
Questo è del giorno d’ieri.
                                                 E che contiene?
Quest’istrumento il giorno d’ieri è fatto;
onde non val di questo dì il contratto.
                               Non ho paura.
Cornelio e ser Imbroglio v’han gabato.
Che siate benedetto; e qual mercede
                                     Di vostra figlia
a me basta la mano; e voi sarete
padron del vostro, fino che vivete.
                               Ed io felice sono.
Donatemi la destra, il cor vi dono.
                                  Poco m’importa;
                                      V’ingannate.
Se la robba non v’è più non vi voglio.
Voi mi sposaste senza condizione.
Voglia o non voglia, alfin vostra son io.
Ho fatto un bel guadagno da par mio.
Se speraste goder, soffrite il danno,
sopra l’ingannator cade l’inganno.
                                        Misericordia.
vi siano i vostri falli perdonati.

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