E viva la maestra. Io molto lodo
d’insegnar la modestia e la creanza.
tutti i scolari miei mi fanno onore;
qui si fa scola e non si fa l’amore.
che invece d’insegnar a far calzette
le ragazze fan far le morosette.
Lo conosco, lo so, di voi mi fido;
non mi par che stia ben quel bernardone.
Chi? Lindoro, signor, vostro nipote?
è marzocco e minchion come la luna.
Alle vostre ragion taccio e m’acquadro
ma so che l’occasion fa l’uomo ladro.
Con Drusilla? Marmeo! Son scaltra e destra.
Zitto ragazzi in faccia alla maestra.
Non si fa ci, ci, ci, bassi quegl’occhi,
Guardami. (Oh vita mia morir mi sento).
Una ve ne vorria per ogni scuola.
(Maledetto quel vecchio, e quando va?)
E chi è questo novel scolaro mio?
Lo scolaro novel, cara, son io.
Che mai insegnar vi potrei?
quel bocchin... quel sestin... (Mi trema il core;
Zitto che il bernardon fa tanto d’occhi.
Badate a’ fatti vostri. Eh simoncina
che sì, che sì. Tu ridi? Maledetta,
Oh che fior di virtù! Che cose rare!
Signorsì, signorsì, le madri pazze
lascian che le figliole vedan tutto
e questo è poi del bell’esempio il frutto.
(Oh che donna! Oh che donna! Una per casa).
(Son più furbo di te, vecchio insensato).
(Nella scuola d’amor sei rozzo ancora).
Gnorsì. Che? Vi par troppo?
Di’ forte e non fallar o la bacchetta
ti rompo sulle man, se dici un fallo.
Ed io se falli ti darò un cavallo.
ahi che dolor! (Si siegua la finzione). (Piange)
Guardate come piange il bernardone.
(Sì, così spero). (Parte)
potreste mandar via quelle figliole,
v’ho da dir a quattro occhi due parole.
Volentieri vi servo. Oh via ragazze,
qualche ristoro a prendere col canto. (Partono le ragazze)
senza bacciar la mano al signor padre?
Che bella educazion? Causa la madre.
Meglio, meglio per voi ch’ella sia morta.
Io ben vi educherò. (Se vien l’amico
(Oh che donna da ben, son incantato!)
d’esser troppo importuna e a tal motivo...
sotto l’abilità di tal maestra.
Così credo ancor io. Figlia obbedisci
che facendo così t’acquisterai
Vado dunque a essequir la sua lezione.
bella maestra mia, voglio spiegarmi,
vi dirò cosa avete ad insegnarmi.
Vuo’ che voi m’insegnate a far l’amore.
forse assai più di me. Foste ammogliato.
dieci anni son che vedovo son io
e bench’io senta incanutir le chiome
vorrei ricominciar ma non so come.
(Se incanutito è il crin verde è la borsa).
Buon per me, buon per me. Ma piano un poco,
impegnato non siete con Rosmira,
Giovine? Capriciosa? Oibò che imbroglio!
voi siete appunto un fior. Siete alla ciera
goderete l’estade in mezzo al verno.
Se volete imparar a far l’amore
il punto sta che per un tal bisogno
so ch’io buona non sono e mi vergogno.
Vergognarvi di che? Cara non voglio,
Sì... Ma mi vergogno anch’io.
So che volete dire, ah furbaccioto.
io non posso veder la gioventù.
Solo è il mio cor della vecchiezza amico
e i giovinotti non li stimo un fico.
sprezza la gioventù ma intanto io sento
che il borsellin può farle il cuor contento.
si deve regalar. Presto Belfiore
che Drusilla abbia a dir la verità?
l’interesse e l’amor dentro il mio petto.
che non dica colei la verità.
V’è nessun che mi faccia sicurtà?
lunga stagion fuori di patria, ammiro
in cui dal venezian l’Adria si sposa.
ogn’anno in questo dì ma più serena
né tranquilla così mai la vid’io,
perché vicina a te, bell’idol mio. (Piano)
non badate a costei. Non apre bocca
che non dica freddure e sciocherie.
Anzi mi par che molto ben ragioni.
Ah di grazia signor non la lodate.
Allor che grave preme il dorso al mare
agl’occhi miei sempre più bello appare.
Tutto è bello; ma senza un amoretto
alla mia patria ormai sarei tornato.
amor impera. Egli il suo trono inalza
dov’è bellezza e gioventù.
senno, non gioventù richiede amore.
Pria di parlar d’amor, trent’anni almeno
Silenzio nipotina e più rispetto,
della vostra gentil conversazione.
che m’è caro il vedervi a me dappresso.
tanto verso di noi di grazie avara.
Verrò (ma sol per voi Rosmira cara).
(Ah che giova o mio ben? Voi ben sapete
ch’io v’adori e non speri un dì sereno
ma viva ognor alle procelle in seno).
ben veduto sarete, al vostro merto
vi consacro quel cor che chiudo in seno.
La vedova Doralba, che pretende
d’avere un grande spirito, in mancanza
di giovinezza e di beltà, vorrebbe
avvilisce perciò della nipote
per vagheggiar l’amata è il mio pretesto
ma lieto esser non posso. Ha già Doralba
Ah contrari mi son la sorte e amore.
Farmi star in ginocchio e bacchettarmi?
Ed ancora non viene a medicarmi?
Mi duol le man, mi bruciano le dita.
Soffri in pace mio ben, che nel mio core
sento per causa tua brucior maggiore.
mi dica ogni parola bernardone.
se vuoi la libertà di vagheggiarmi.
Anch’io nella finzion solo confido.
Tutto il mondo mi crede, io godo e rido.
Ma finger sempre non mi par che sia
Tutti fingono, tutti. I mercadanti
per mantener i vizi e le gran spese
fingon la robba di lontan paese,
guadagnano un tesoro. Gli avvocati
fingono che il cliente abbia ragione
sol per mangiarli il fegato e il polmone
traggon il proprio ben dall’altrui male;
fingon gl’omini affetto ed è interesse,
vedrai un bel visin ma quello è finto,
colla biacca e il carmin coperto e tinto.
Mi piace la lezion; ma col mio zio
Che? Geloso? Geloso? Uh che pazzia!
che l’uomo di giudizio e taccia e goda.
La maestra son io, t’insegnerò.
oggi l’amante mio non ho veduto.
temo d’esser dall’empio abbandonata.
s’uno vi mancherà vedrete l’altro.
figlia mia, la costanza. Io vedo e sento
che ognun suol navigar secondo il vento.
Che fede? Io vi rispondo,
come dice il poeta in un’arietta.
Cara cugina mia, via non piangete.
ditegli che per lui morir mi sento.
Lo farò volontieri e non fia strano
che fra parenti un tal mestier è in uso. (Parte)
questo che in cor mi sento. Un giorno intero
è pena da morir. Ditelo voi,
Ve l’ho detto, Rosmira, io più non voglio
bella è la libertà. Dono del cielo
perder merita ancor ogn’altro bene.
troppo tenero è il fior. Quando alle nozze
così presto si va, presto svanisce
nostra bellezza ancor e senza questa
ci abbandona ciascun e ci detesta.
che non si perde mai. Questo supplisce
per ricusar Belfior per vostro sposo.
si termini fra noi... Venite, Ergasto,
Voi togliete la pace a questo core.
Siete troppo crudele all’amor mio.
(Ed in Ergasto amor per me si smorza).
(Lo spirto finalmente ha una gran forza).
Di me pietade abbiate e non prendete
di vedermi morire il fier diletto.
Dunque otterrò colei che m’inamora?
(Oh me ingannata?) Ergasto, altrui promessa
e lo sperarla è uno sperarla invano.
stringere il sacro nodo ella pretende.
esprimere il dolor che mi tormenta.
d’un vecchio scimunito! Di Belfiore?
Ah forse pria m’ucciderà il dolore!
se non mi parli io ti regalo un pugno.
ma non sperate già ch’io sofra e taccia.
ho da vedervi accarezzar mio zio?
sol lo fo per tuo amore; e se mi crede
su la tua vita investirà il denaro.
accarezzatel pur, vi do licenza,
ma non lo fate almeno in mia presenza.
a chi vuole goder sofrir conviene.
Legge crudel dei poveri meschini!
Gran brutta cosa è il non aver quattrini. (Si ritira)
degl’uomini di garbo e di virtù,
scorno della più fresca gioventù.
Cara Drusilla voi mi consolate
Vi dico il ver, su l’innocenza mia.
col pensiero crudel d’abbandonarmi.
ma se vuota è la man, non credo al core.
Farei... Ma non vorrei far un sproposito).
(L’interesse e l’amor sono in duello).
ragion non sento ed il cervello è andato).
tutto farò per voi; d’amore in segno
eccovi in questo anello il primo pegno.
vengo dalla vergogna rossa rossa.
Con questo bel visin che par di cera,
tutta vostra sarò mattina e sera.
(Più non posso soffrire).
sono così furbetti. Questa mano
un nipote fedel che vi vuol bene.
che per me sospirate e tutto il giorno
di voi mi parla e con ragioni accorte
mi persuade ad esservi consorte.
ma spero ti farai. Bravo, ne godo,
prendi tu questa borsa; io te la dono.
(Una borsa? Drusilla, io mi contento).
(Gran virtude dell’oro e dell’argento).
sarò di quel visetto. (Mirando Lindoro)
al mio sincero amor premio e mercede?
Con questa man vi giuro la mia fede. (Stringe la man a Lindoro dietro a Belfiore)
Cara Drusilla mia, caro Lindoro.
della mia libertà farvi tiranna?
ad un uom così vecchio e difettoso?
quest’è il solo pensier che tocca a noi.
congiontura migliore della mia.
Credo però ch’ei non vi pensi punto.
il mancarli sarebbe inconvenienza.
E perdere dovrò chi tanto adoro
per unirmi a costui? No che il mio duolo
m’ucciderebbe nel momento istesso.
di Belfior ti vuo’ sposa e liberarmi
così d’una rival. Allor che Ergasto
forse che gradirà di questo core
la viva fiamma e il mio cocente amore.
quasi pianger mi fa. Trovai Lesbino,
parlai per essa e par che sia pentito
d’aver promesso d’essergli marito.
Ei n’ha ragion, quel vecchio di Belfiore
senza darle la dote. Al giorno d’oggi,
le figlie maritar per il bel muso.
Voglion esser quattrini in quantità.
Ricchezza e non beltà si stima adesso,
ora sono le donne a bon mercato.
non diresti così, se tu provasti
son la fame e l’amor due gran nemici.
fa il tuo negozio e il mio.
aver la sposa e non aver da cena.
Vanne, mandami qua le mie ragazze.
ma nell’innamorar siete maestra.
ma si san contenere i spirti accorti
più delle bocche strette e i colli torti;
non domando, non dono e non ricuso.
Si può venir? (Di dentro)
fra noi non ci è padrone né padrona.
Fo il mio dover. (Fa una riverenza)
Eh via con quest’inchini,
io non stimo le smorfie ma i quattrini.
e si sazian col titol di lustrissimo.
Vuo’ che prima facciam un qualche patto.
Ma se morite voi, che farò io?
Vi farò donazion di tutto il mio.
non la potrete far; fatela adesso.
Dunque tutto interesse è il vostro amore?
Senza che parli più voi m’intendete.
tutto a voi lascierò l’argento e l’oro.
(Ed io lo goderò col mio Lindoro).
che oltre il ricamo anche la solfa impara.
alla presenza del signor Belfiore.
Che poi vi donerà qualche freddura.
Professora non son ma dilettante
E poi farò con voi la scusa usata,
io non posso cantar, son raffreddata.
vi vorrei regalar ma non ho nulla.
Per or mi basta d’essere lodata
vorrò esser al certo ben pagata.
con il tempo farà di gran fortune.
se non sarà vezzosa ed avvenente,
tutta la sua virtù non varrà niente.
che si fanno pregar, sapia o non sapia.
Voi volete che canti? Ed io vi canto.
Canta anch’essa il contralto?
Eccomi pronta a far la mia figura.
tu non curi il mio duol, sprezzi l’affanno?
Ahi che pena! Che duolo! Ahimè son morta.
Morir per un amante è gran pazzia.
e gli omini mandar alla malora.
E viva, e viva, io vi prometto e giuro
che ricchezze farà; ne son sicuro.
che ricchezze farà, se sarà bella.
che più della virtute alletta il vizio.
piacionmi le ragazze e il loro canto
quando sono con voi da sola a solo.
Andiamo a far rogar la donazione.
Ragazze qui restate anche un pochino.
Divertitevi pur per il giardino.
(Mi preme di tirar il vecchio in rete).
se Drusilla è mia moglie, oh me beato! (Parte)
Chi non si sa aiutar muore annegato. (Parte)
Sorella, che volete che facciamo?
e vi sarà qualche virtuosa vecchia
che mostra di saperne e canta a orrecchia.
Chi ci sente lo sa; non ne sapiamo.
Al certo dunque ricusar volete
lieta nel suo dolor voi non sarete.
la vostra crudeltà, non mi spaventa.
Mi chiuderò dentro un romito albergo,
pria che prender Belfiore per consorte.
si tratta la tua figlia abbandonata!
Vengo, o Doralba... Ma perché Rosmira
piange solo perché lasciar mi deve.
e tanta debolezza nascondete.
Partirò ma contenta non sarete.
l’affanno di Rosmira, all’aborrito
imeneo di Belfior voi la sforzate.
a me che sì l’adoro? Ah sospendete,
per qualche tempo almen questi sponsali.
Rosmira in guisa tal che più non posso
a lui negarla). Io sentirò Belfiore,
di cedervi Rosmira, allora, oh dio!
(dirlo non so) sarò contenta anch’io.
Basta... Nol so... Sempre fu cieco amore.
che a lagrimar m’astringe. Io non vorrei,
che fosse il pianto mio pianto d’amore.
Io ti ringrazio amor. La tua catena
se mi cangi in piacer la pena amara.
Ecco qui; carta canta e villan dorme.
Fatt’ha la donazione a modo mio.
sol doppo la sua morte ed io se voglio
con questa donazion oggi lo spoglio.
Chi fingere non sa non val un cavolo,
noi donne ne sapiam più assai del diavolo.
Sul più bel m’impiantate?
Non mi fate penar per carità.
col nodo marital. La donazione
altre solennità voglionvi ancora.
struggere per la pena ogni momento.
Siate più buono ed aspettate un poco.
se mi sento abbrucciar...
Acqua fresca, acqua fresca.
E che mai vi vorria per consolarvi?
Stringere il matrimonio ed abbracciarvi.
come la neve al sol, la cera al foco,
peno anch’io per amor (ma non per te).
Dunque, se voi mi amate ed io vi adoro,
che facciamo noi qui belli e impalati?
Ohimè non posso star, convien che vada.
Vadi signor (e crepi per la strada).
come i vecchi da noi trattati sono.
di bella gioventù, sposa cercate,
a maritarvi con il pel canuto
piangerete il bel tempo invan perduto.
Eh signora maestra mia padrona,
favorisca di grazia. Ho inteso dire
un certo non so che. Di sincerarmi
Io son pronta, signora, a sincerarla.
(Questa frasca mi punge).
raccontato mi fu ma non lo credo.
ma ciò creder non puote il mio pensiero.
Eh lo creda, lo creda, è vero, è vero.
Chi a far ciò lo consiglia?
Dite più tosto il vostro finto amore.
e mio padre saprà che il suo tesoro,
lui fingendo d’amar, ama Lindoro.
non fingo come voi semplicità.
Saprà che quel visetto modestino,
fingendo amar la scola, ama Lesbino.
Tutta vostra bontà, son fatta destra
sotto l’abilità di tal maestra.
la robba altrui, per far la mia fortuna.
A me questo? Cospetto della luna!
non ti faccia provar lo sdegno mio
Ma tagliata sarà la donazione.
Ed io ti scannerò pria di domani.
Alto vi dico, che ho ancor io le mani.
tutto quel che potrò farò per voi,
Chetati se lo vuoi. Ho già risolto
purché resti Rosmira alla mia fede.
Troverà l’amor mio qualche mercede.
Vi parlo chiaro Ergasto. Io prima intendo
sposa avanti di me che senza vanto
ho spirito e non son di lei men bella.
Soffrite, è assai migliore,
quando costa un piacer qualche dolore.
Ergasto che vi par? Può ritrovarsi
la maggior parte delle donne ha questo
vergognoso difetto. Allor che in esse
passò la fresca età né più soccorso
si pongono a tacciar d’insipidezza
affettando di spirito presenza
che in fondo altro non è che maldicenza.
Detesto un tal costume e lo compiango
sinché marito ella non trova.
o Rosmira, sperar che di Belfiore
tosto impegnar, ond’ei la prenda in moglie.
Egli a tutte s’addatta e facilmente
ella i suoi anni soffrirà.
favorevole il cielo a’ desir nostri.
Nel tempestoso mar dell’amor mio
rasserenarsi il cielo, onde non temo
più di restar tra le procelle assorto
ma de’ contenti miei già miro il porto.
Leonora disgraziata ha detto il tutto,
perduto abbiam di mie fatiche il frutto.
tutta la rabbia sua sfogherà teco.
Fuggirvi, abbandonarvi? Oh questo no!
e se per causa sua sarò in pericolo
gli darò una stoccata nel ventricolo.
Impiccar ti farai ragazo mio.
io voglio trucidar; con questa spada
voglio cavargli il fegato, il polmone;
e vedrà se io son un bernardone.
Dunque hai spirito e ardir?
Sono imbrogliato. (Entra in una stanza)
chi è colui che colà s’andò a nascondere?
lo volete saper, io ve lo dico,
della vostra figliola egli è l’amico.
Non può star, non può star.
Su l’innocenza mia, signor, lo giuro.
mi chiarirò. Ma intanto quel briccone
voglio cacciar di qua, vuo’ bastonarlo
e se fa il bell’umor voglio scannarlo.
Ah voi andate ad incontrar la morte.
Benché vecchio io sia, son anco forte.
La bestia è superata. (Entra nella camera)
Oh me meschina! È fatta la frittata.
Son venuto... Gnorsì... Ma partirò.
Mai dice che stia bene una parola.
L’amante di Leonora? Disgraziata!
Via compatite, mi sarò ingannata.
Io vado di galoppo. (Parte)
perché voi mi credeste un bel minchione.
Presto datemi qua la donazione.
Ancora mi dileggia? Ah cospettone!
Mi saprò vendicar con questa cagna.
Già m’è andato l’amor per le calcagna.
Signor Belfior, vi faccio riverenza.
Ella è giovine troppo. Vada, vada.
Venite a casa mia, colà vedrete
una giovine sì ma non ragazza
di tempo ancor ma come voi pulito.
Oggi verrò. (Mi voglio maritare,
se credessi sposar anche una gatta).
lo sposerà per risparmiar la dote
e sarà mia così la sua nipote). (Parte)
Mi voglio maritar per tuo dispetto
e di me troverò più degno oggetto.
sempre dovrò sposar, che vale a dire
per un verso o per l’altro, un gran demonio.
se in casa mia venir v’ho supplicato.
ad Ergasto gentil favor sì lieve.
Ed il perché voi lo saprete in breve.
Non mi fate penar. Son donna alfine,
per amor di Rosmira. Io so che voi
mirar prima di voi fatta la sposa;
onde se desiate aver marito
vi ho trovato, Doralba, un buon partito.
signor Belfior che sdegna una ragazza
e che per vostro amor smania ed impazza.
(Far di necessità virtù conviene).
giusto l’impegno mio, son io venuto.
Ecco la sposa ch’è da voi bramata.
se mi date la man io son contento.
Ed io perché rilevo il vostro affetto,
porgendovi la man la vostra accetto.
Prima avete a formar lo stato mio.
Pria di sposarmi l’ho a sapere anch’io.
S’egli nega saperlo, io lo dirò.
di tutto il suo già fece donazione.
Bastami che la dote egli mi faccia
ed io la donazion gli straccio in faccia.
Bravo, bravo, orsù via, convien finirla.
Sposa la tua Drusilla e tu, Leonora,
Lesbino avrai. Sposi Rosmira Ergasto,
Doralba sposerò in vostra presenza.
quel bel piacer che tanto alletta e piace.