Metrica: interrogazione
556 endecasillabi (recitativo) in La pupilla Venezia, Valvasense, 1735 
Misera condizion del nostro sesso!
In ogni stato, in ogni età le donne
sono sempre soggette e sempre schiave.
la catena ci lega e fino quando
col laccio del tutor legate siamo.
che non si scioglie più sino alla morte,
che sento a raccontar da tante e tante,
d’ogn’altro assai più duro e più pesante.
Se poi questo si scioglie e vedovella
in loco d’aquistar sua libertade,
in un laccio peggior, misera, cade,
ognun pesa i suoi detti ed un veniale
peccato in lei può divenir mortale.
che, vedova rimasta e giovinetta,
di pianger si trovò benché innocente
per satirica lingua e maldicente.
quello d’esser soggetta ad un tutore
Questo meschina è il laccio mio crudele.
da tanta soggezion col maritarmi.
ch’io mi trovo soletta, alle mie noie
Ma no, ch’è troppo vecchia. È meglio questa:
«Come sul far del dì...» Questa è vechissima.
sopra d’un augellin tutto amoroso
composta in venezian stile curioso.
pur talvolta è cagion di qualche male,
per essempio talun passa per strada,
sente a cantar, si ferma, esso dimanda
chi abita quivi e chi è colei che canta;
bizzara, graziosetta» e che so io;
tosto in quel passaggiero entra il desio
di vedervi e parlarvi, onde vedete
se il cantar fa più mal che non credete.
Permettete, signor, ch’io vi risponda
Supposto tutto quel che avete detto,
mi sentisse cantar, di me cercasse,
mi volesse veder, parlarmi ancora,
                                          Zitto! Che dite?
Che mal sarebbe mai? Tutto quel male
che immaginar si può. Se voi sapeste
i giovin d’oggidì! Altro non cercano
                                          Eh semplicetta,
è tanta l’arte loro e il loro ingegno
giovin di prima età, senza consiglio.
Gl’uomini dunque son tanto cattivi?
Non tutti figlia mia ma per lo più
il peggior mal sta nella gioventù.
non cantar, non parlar, con questa vita
voi volete ch’io mora intisichita.
                                     In qual maniera?
sapete che le donne son curiose;
ditelo adesso dunque, se mi amate.
(A un sì forte scongiuro io non ressisto,
                                  Ma come mai?
Se tanto mal degl’uomini diceste?
Dei gioveni parlai ma non dei vecchi.
ed un vecchio prudente io voglio darvi.
(Il mio signor tutor s’inganna affé).
Chi è lei, cosa commanda in casa mia?
Dirò la verità. Io da un balcone
fui chiamato per nome e mi fu detto
entrai, non viddi alcun, qui m’avvanzai
ove trovar chi mi chiamò pensai.
                                   (Che bel sembiante!)
Voi vi siete ingannato e certamente
                                          Dunque ritorno
e all’innocente error chieggo perdono.
(Potessi almen dir a colei chi sono).
(Più ch’io guardo quel volto, ei più mi piace).
                                    Voi siete astrologo?
Che è lo stesso che dire un vagabondo
che rubba li denari e gabba il mondo.
                                Non siete astrologo?
Lo son ma non di quelli da donzina.
il presente, il passato ed il futuro.
ambiguo, amfibologico, imbrogliato
ma in un modo assai schietto e non usato.
è sempre un’illusion l’astrologia.
                                       Io mi contento,
se lasciarvi servir da me degnate,
che se non dico il ver non mi paghiate.
se il passato indovino, io so che allora
dell’avvenir mi crederete ancora.
è grazioso, è gentil, egl’è adorabile).
Sì sì, non istà ben che la ragazza
della mia gioventù senta gl’errori.
V’obbedisco signor ma arricordatevi
farmi certo predire il destin mio. (Si ritira)
Mostratemi la mano. Ella è imbrogliata.
                                        Tutto vi spiego.
Ma parlatemi chiaro, io ve ne priego.
                                          Bene, bene,
(Potessi astrologar quel vago volto!)
Basta, basta così. (Se più s’avvanza
Il passato in narrar siete eccellente,
grand’astrologo siete in fede mia,
deh prosseguite pur l’astrologia.
ma saprò ben con arti buone e belle
vincer gl’influssi delle avverse stelle).
                                  Che diavol fatte? (Torna)
Non è finita ancor questa facenda?
Avvertite, signor, che voglio anch’io...
                                         (Che bella grazia!)
m’indovinaste affé tutto a puntino;
non vorrei s’averasse il vostro detto,
supplicarvi di cosa che alla fine
non è per voi disonorata e vile
e a me giovar potria, più se un tesoro
mi donaste ripien di gemme ed oro.
Commandatemi pur, ch’io vi prometto
Ed io prometto a voi buona mercede.
ritrovaste, signore, è mia pupilla;
io sono il suo tutor ma il suo sembiante
d’essa mi rese sviscerato amante;
sempre temei, ed or più che mai temo,
ch’ella alle nevi mie non si riscaldi.
                                         Molto potete.
mostrate di predir che il suo destino
la vuole per suo ben moglie d’un vecchio,
esser la sua rovina e cose tali,
sicché avendo desio di maritarsi,
la giovine di me possa invogliarsi.
Lasciate fare a me, state sicuro,
persuaderla saprò, io ve lo giuro.
ch’io vuo a prender per voi un regalone,
fatte, ma come va, l’operazione.
Rosalba uscite pure, io mi contento
che tutti i detti suoi son verità,
badate a lui che non v’ingannerà. (Si ritira)
Ecco pronta la mano. (Oh me felice!)
permettetemi ormai ch’a voi palese
faccia il mio nome e il grado mio discopra;
astrologo non son ma cavaliere,
io Giacinto m’appello ed in fortune
e in nobiltade alcun non mi sorpassa;
v’amo, v’adoro e vi desio per sposa,
sarete fortunata ed io felice;
non temete il tutor, fuor d’ogni intrico
io levarvi saprò; so quel che dico.
dite pur se aggradite l’amor mio.
Gradisco l’amor vostro e v’amo anch’io.
fate quel ch’ei vi dice e non temete.
E ben, Rosalba mia, siete contenta?
Vi ha detto cose buone l’indovino?
Non mi potea predir miglior destino.
certo che all’amor mio la persuase).
                Mio signor.
                                       Quest’è una doppia,
della mia protezion sempre godrete.
Servitor mio padron, servo umilissimo.
Cara Rosalba mia, ch’è mai sta cosa?
or lo stomaco avete rivoltato;
voi mi volete far diventar matto.
Oh che bella finzione! Ei già lo crede;
la lezione del foglio or fa l’effetto.
Sentite, figlia mia, parlate schietto,
sono il vostro tutor e come padre
v’amo più che se foste una mia figlia;
avete voi qualche passione al cuore?
Confessatelo a me. Rosalba, io giuro
il rimedio trovar presto e sicuro.
Io amante? Ma di chi? Se in questa casa
sempre sto chiusa e mai non entra alcuno.
Cos’è mai quest’amor? Dunque l’amore
Certo che quest’amore io non provai
e prego il ciel di non provarlo mai.
(Bella semplicità!) Ma sempre amore
sovente al nostro cor recca contento.
ch’or fa bene, or fa male. Io non v’intendo.
Egli è un mago l’amor, diletta figlia.
Mi stia dunque lontan trecento miglia.
delle dolcezze sue qualche pochino,
lo vorreste tenir sempre vicino.
Quando la sia così, fatte ch’io provi,
un bocconcin di questo dolce amore.
                                           Eh mi contento
che se poi quest’amor non mi piacesse,
voglio che il matrimonio sia disfatto.
accordato che sia più non si scioglie,
se non muore il marito over la moglie.
                                               Eh non temete,
con cui sempre vivrete in buona pace.
                                 Già l’ho trovato.
Lo vedeste e gl’avete ancor parlato.
                               (Ah più tacer non posso;
mi sento il core, il sangue ed il polmone
che mi dicon: «Coraggio Triticone»).
(Forse Giacinto a Triticon palese
                                          Figlia, sediamo, (Siedono)
poiché di grave affar parlar dobbiamo.
                                  V’arricordate
(È Giacinto senz’altro. Oh me felice!)
Egl’è un uomo dabben, sa quel che dice;
che mentire non sa ma dice il vero.
Non ne dite di più; già son per lui...
dunque a quel ch’ei v’ha detto e rissolvete.
il partito mi piace, è da par mio.
                                                    (Ahi, che la gioia
mi fa tutto sudar e già dagl’occhi
per l’allegrezza mi distilla il pianto).
Ma che avete, signor, perché piangete?
                                           Oh benedetto
siate pur mille volte! Oh quanto v’amo!
Oh quanto v’amerò fino alla morte!
Anch’io figlia v’adoro, or non più figlia
è ben segno d’amor). Dami la mano,
vuo’ consolarti, o bella, in questo punto.
                                    Dov’è lo sposo?
eccomi, non mi vedi? È forse amore
Ah ah ah ah, meco scherzate affé.
E che d’esser mia sposa ancor bramate?
Non abbiate rossor, siam qui tra noi.
Dell’astrologo intesi e non di voi.
non vi parlò di me? Non vi predisse
d’un vecchiarel consorte il ciel vi vuole?
E che la gioventù tradir vi puole?
ben di lui mi parlò, dice che m’ama,
ch’è un cavaliero e che mi vuol per sposa.
Ingannato son io. Figlia, colui
è un mendace, è un briccon, non gli abbadate.
Prima voi mel lodaste, or lo sprezzate?
vuo’ tentar persuaderla all’amor mio,
simular quest’ardor più non poss’io).
                                             Ah gentilissima
se obbediente finor stata mi siete,
siatelo in questo punto. Io già v’adoro.
                                      Eh un altro amore
è questo, idolo mio, v’amai finora
come padre, egli è vero, or come sposo.
io son giovine assai, voi troppo vecchio.
Son vecchio, è vero, ma non ho difetti.
Questo è buono per voi ma non per me.
                                         Ma senza frutto.
Servo de lor signori. Se non fallo,
è il signor Triticon vusignoria?
                                         In speciaria
per venir in sua casa ed io volai.
                                              Appunto quello.
La ragazza si sente un po’ di male
Sarà il solito mal d’una fanciulla.
                                               Signorsì.
(Quest’è appunto colei che mi ferì).
                                         Io gli son serva.
(Ella tien gl’occhi bassi e non m’osserva).
Sentite il polso suo. Sembra alterato?
ritiratevi un poco e date campo
ch’io possa interrogar con libertà
la fanciulla. Sapete come va.
Signora mia, mi favorisca il braccio.
(Ahi, ch’a un braccio di neve ardo ed agghiaccio).
                                      Ah mio tesoro.
già scopersi l’arcano e presto presto,
se mi lasciate far, scoprirò il resto.
                                                  Signora,
Più ressister non posso a tanto foco.
mi si scoperse amante e vuol ch’io sia
liberatemi voi da quest’imbroglio.
                                    Io tutto intesi,
manca solo ch’a lei per il suo male
e poi sono con voi. Non dubitate, (A Rosalba)
liberarvi destino in questo giorno;
poiché la soggezion non mi permette
di dirvi tutto, fingerò, scrivendo,
un recipe formar; a voi la carta
una nuova invenzion voi leggerete,
secondate l’idea; poi non temete.
                                   E ben, che nuova,
signor eccellentissimo, mi date?
Gran cose io vi dirò. Prima aspettate
                                            Oh che impazienza! (Giacinto va al tavolino a scrivere, intanto Triticone e Rosalba parlano sempre da sé)
                                        Facesse presto!
Di quel bricon d’astrologo io temo.
Ma del vecchio tutor pavento e tremo.
Lei mi guarda sott’occhio; ah furbachiona!
Fa’ pur quanto tu vuoi, non son sì buona!
Signora mia, coraggio aver conviene;
faccia come sta scritto e anderà bene. (Rosalba prende la carta e legge e leggendo ride piano)
Caro signor dottor, ditemi tosto
Tutto il suo mal, signor, provien d’amore.
                                           Certo vi giuro,
dacché del medicar l’arte professo,
non mi toccò sentir cosa sì strana.
                                          Eh eh pensate.
Vive amante di voi passionatissima;
ridete signor mio, ch’ella è bellissima.
io non vi dissi ancor; v’ama, egl’è vero,
che non vi vuol, perché dall’altre donne
L’esser voi vecchio a lei molto non cale
quel crin canuto e gl’occhi lacrimanti,
quelle rughe, il tremare e che so io,
come dicea, gli fan cangiar desio.
(Già in carta gl’ho insegnata la lezione).
il signor Triticone amo ed adoro
ma quell’aspetto, oimè, schiffo ed aborro.
                                 No no, non mi parlate,
                                         Che bell’imbroglio!
con cui non dico già che l’età torni
nel suo verde primiero ma ben vale
per far nera la barba e nero il crine,
render liscie le guancie e porporine.
rende chiara la vista e l’occhio bello;
e l’abilita a far da buon consorte.
                                     Eh mi burlate.
Signor, mi meraviglio, ad un mio pari
non si dice così, la riverisco.
E voi dite d’amarmi e ricusate
L’amor vostro non è simile al mio.
Ehi sentite, signor... (Se fosse vero
gran segreto saria!) Come s’adopra?
Facilissimamente. In quest’ampolla
ed in mezz’ora si vedrà l’effetto.
Questa prova chied’io dell’amor vostro.
Sottisfarvi saprò. Già finalmente
                                         Poca moneta.
                                        Ed io vi servo
e, se non opra ben, non mi pagate.
Una bote vi vuol ma vuota e nuova.
Fattela portar quivi e facciam presto.
                                   Più non cercate.
Ancor questo farò. Non m’ingannate.
falla portar di sopra in questa stanza.
(Oimè, che dalle risa il cuor mi creppa).
voi nella bote entrar dunque dovrete
e farvi chiuder bene, indi la faccia
forte, robusto e bel verete fuora.
Io nella bote entrar? Voi v’ingannate.
Se non fatte così, voi non mi amate.
Tradimento? Perché? Dove son io
non temete di mal, dolce amor mio. (Viene la bote)
Pur entrar mi convien. Che sarà mai?
Cara già vinto m’han le tue parole,
ecco Diogene, o bella, in faccia al sole. (Mettono Triticon nella bote)
Entrato è il pazzo. Oh questa è bella assai!
Zito Rosalba ed il più bel vedrai.
Orsù via dunque datemi l’ampolla.
cosa ieri vi disse l’indovino?
                                    Tutto mi disse,
ecco il pressaggio suo verificato.
E per farvi veder che ’l ver raggiono,
con vostra buona grazia, signor mio,
prendo Rosalba, a rivederci, addio.
Ah traditor, briccon, Rosalba oimè,
soccorso, aita, carità di me.
quando giovin sarete tornerò.
                                       Bella bellissima.
Per un finto ministro, a nome vostro
io tutto a Triticon fei sequestrare,
ad effetto d’aver la vostra dote.
Egli cittò, come si suol nel foro,
per la revocazion di quel sequestro,
si contestò, si deputò, stamane
già si deve trattar. Voi vi fingete
come che v’insegnai né fallerete.
giovini come voi ch’hanno la voce
conoscer vi saprà. Non v’è alcun dubbio.
Vada ben, vada male, in voi confido.
                                 D’amor parliamo.
Passeggiate la sala ed io mi siedo.
Siete voi di Rosalba l’avvocato?
                                         Siete dannato.
Avete torto marcio e non si ponno
in coscienza diffender cause tali.
sono per far giustizia, ora vedremo
                                          Senz’alcun dubbio
la causa vincerò ma questo struscio
                                        Eh cominciate
a parlar della causa; il tempo passa.
                                           Incominciate.
di casa Frangiador quondam Fabrizio,
nell’anno millesettecento e sedeci
di gennaro morì nel giorno tredici.
del sudetto signor quondam Sempronio.
                                           Appiano, appiano,
io non voglio sentir cose superflue.
Presto presto mi spichio. Eccomi al fatto.
Il sudetto signor quondam Sempronio
di casa Ballonar quondam Anchise
per tutor della figlia, unitamente
alla moglie sudetta ch’avea nome...
tutor e curator della fanciulla.
E già morta la madre, io solo resto,
                            Eh non è il punto questo
che abbiamo da trattar, presto alla dote.
si vede ben che principiante siete.
Così, signor, per accostarmi al fine,
s’introdusse in mia casa un bricconaccio,
                                    Basta, basta, usate
un poco di rispetto al tribunale.
Astrologo si finse e poscia medico,
e mi ridusse entrar dentro una bote.
Ridete pur ma io non rido al certo.
Pian vi dico, signor, parlate in causa.
Rosalba prese per la mano e in questa
Or pretende la dote e per averla
tutto mi sequestrò. Già voi sapete,
che il trattato De nuptiis parla chiaro;
dargli non si convien dunque la dote.
Della vostra sentenza sia l’effetto
di liberarmi quel sequestro. Ho detto.
Che rispondete voi? (A Rosalba)
                                        Signor accordo
che Rosalba restò l’unica erede
ergo si deve a lei quel patrimonio.
restò solo tutor di quella figlia
ma del cuore di lei non è padrone.
buscar quel bocconcin ma s’ingannò,
nella fossa ch’ei fece egli cascò.
ch’ei se la prese è ver ma non rapì.
da prendere a rapir? Son ragazzate.
questo è il punto, signor, quando vi provo
vollete che la causa sia finita?
                                               A me, v’incontro.
Il ratto è allor quando il voler resista
ella consente, per marito il vuole
e rapita sarà? Ma vi è di peggio.
Il trattato De nuptiis, che allegaste,
raptave sit mulier dice, è vero;
ma soggiunge dappoi, se lo sapete,
nec parti mulier sit redita tutae,
ei la conduce in casa sua, la sposa,
e direte così ch’ella è rapita?
No, rapita non fu. Ergo la dote
per giudicar la verità, vi priego
confirmar il sequestro, al solo effetto
di conseguir la dote. Io pure ho detto.
Dica pur quel che vuole, io già l’ho vinta.
giudicando a tenor della dimanda
dell’eccellente domino Propizio
ch’egli mostrò di darla, ingiustamente,
in doppio lo condanno e nelle spese
                                                Appiano, appiano
mi condannate in doppio e nelle spese?
Prendete ed essequir voi la farete. (S’alza e dà la carta a Rosalba)
Io non so cosa dir, quest’è il giudizio.
signor Propizio vi saria maniera
                                              Io non la veggo.
e m’impegno che lei non saprà niente.
se aggiustar la volete in confidenza.
Io trovar il ripiego non saprei.
Rimettetevi in me signori miei.
                                            È di ragione.
Ahi più non posso trattenere il pianto.
                                           Eh niente, niente,
m’andò un po’ di tabacco dentro gl’occhi.
faremo una scrittura in cui si dica
a Giacinto Verbani e che gl’assegna
che dal padre di lei gli fu lasciato.
                                   Io mi contento.
                                             E questo è peggio.
                                                   Or via
mi rissolvo segnar questa scrittura;
gl’avversari di questo aggiustamento?
                                                Io per Rosalba.
                                        Ora la stendo.
promissio boni viri est obligatio.
                                             Io vi ringrazio.
alla cliente mia, poco mi preme,
mentre con lei le goderemo assieme.
Siete un di que’ avvocati...
                                                  Olà tacete
e la mia profession non offendete.
via signor Triticon sottoscrivete.
Triticon Ballonar, come di sopra.
Per Giacinto Verbani io la confermo.
Io per Rosalba Frangiador l’affermo.
                                    Cosa vi vuole?
di propria man dai due consorti ancora
e valerà questa scrittura allora.
Leggete questa firma, il tutto è fatto.
altra sottoscrizion che le due vostre.
Appunto Triticon sono le nostre. (Si scoprono)
                                          In me Giacinto.
Traditori così... Ma nulla vale
la sentenza, il giudizio; e la scrittura
perché carpita fu non ha valore.
Questa è la vostra man signor tutore.
ritirarvi già più voi non potrete.
ingannata sarei. Con tante belle
acciecar mi volevi e avermi in moglie.
La semplice così l’astuto coglie.
dal giudice non finto ora mi porto;
                              No no fermate,
senza moltiplicar tant’altre spese
tutta la dote vi darò in malora.
Ti baccio, ti ribaccio e in te ritrovo
ma Giacinto non viene ed io l’aspetto.
che amalata mi finga e ch’egli in breve
devo fingere ancor genio ed affetto,
or del foglio ritorno alla lezione. (Siede)
                                    Ohimè che male!
che tutte sono mie le vostre pene.
Egli verrà a momenti. Allo speziale
che il medico più bravo a me spedisca
acciò che in breve tempo ei vi guarisca.
pensate a quel che l’indovin vi ha detto.
che vi penso assai più che non credete.
ed è per la passion resa amalata).
(E Giacinto non viene, o me meschina!)
di simular Rosalba il vostro foco,
che il silenzio potria darvi la morte.
Confessatelo pur; voi siete amante.
                 Vi compatisco, anzi destino
di rendervi contenta in questo giorno.
Questa speranza mi mantiene in vita.
Adunque il vostro mal provien d’amore.
So che tutto il mio mal chiuso ho nel core.
in breve tempo ei me la rese amante).
                                     Oh che bel nome!
Un sì dolce pensier già mi rissana. (S’alza)
                                       Ohimè che male! (Siede)
(Essa per il contento è già svenuta).
(Se Giacinto non viene io son perduta).
Ma la figlia da vero è in accidente
se il medico non vien son disperato.
Temo che già per me la sia finita.
                                            Io torno in vita. (S’alza)
Gran forza al certo ha l’opinion umana
se sol col nome il medico rissana.
Riverente m’inchino o mio signore.
                                        (Che bel dottore).
Ha forse lei qualche malanno adosso?
                                           Basta, fermate
né mai di cosa tal non mi parlate.
Non temete signora, in breve tempo
Prima signor che v’accostiate a lei
che mai provato ha l’amoroso ardore,
nascer per me la fiamma prodigiosa
per l’alta brama d’essere mia sposa
che voi pur secondiate il genio mio.
la fiamma secondar del di lei petto.
lasciate ch’io l’interroghi in disparte
per poter adoprar l’ingegno e l’arte.
Fate il vostro mestier, io mi contento.
se volete venire, il punto è questo
Io con voi venirò sino alla morte.
(Oggi Rosalba sarà mia consorte).
quattro de’ servi miei vi sono armati,
onde alla casa mia sarem scortati.
Pur che voi siate meco altro non curo.
(Dell’amore di lei già son sicuro).
Signor Triticon mio, lei è servita.
                                   Già son guarita.
Come? Sì presto? E come mai faceste? (A Giacinto)
ch’era tutto d’amor il di lei male?
E ch’ella era di me dissi invaghita.
Consolandola dunque io l’ho guarita.
(Gran fortuna è la mia, sempre ritrovo
gente di buona mente e di buon core,
tendono a stabilire il matrimonio.
Orsù già tutto intesi. Altro non manca.
ogni breve dimora è a lei di pena.
Concludiamo l’affare or tra di noi,
                                     Ma sol per voi. (A Giacinto)
                                  Fortunatissimo.
                                       Fate benissimo.

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