dispiacer vi reccai, vi chiedo in dono
dalla vostra bontà grazia e perdono.
se parlarvi d’amore ebbi ardimento,
vi domando un gentil compatimento.
In voi l’onor del sangue io compatisco; (Al cavaliere)
di te so l’innocenza e l’aggradisco. (A Mengotto)
Or che siete signora e maritata,
che vi troviate un cavalier servente;
e può aver tal onore anche un parente.
Obbligata, signore, io non mi curo
di piacere al marito io n’ho abbastanza.
di voi cosa direbbon le persone,
andaste sempre col consorte al fianco?
che d’appoggio vi serva e compagnia.
bastami dal marito essere amata.
una sì cara e gentil consorte;
n’ebbi una indiscreta, aspra, cattiva,
infelice sarò sino che io viva.
Senti? (A Sandrina piano)
(Abbiate pazienza). (Piano alla marchesa)
avete in sdegno il vostro amor cangiato?
abbiamo un vel dinnanzi agl’occhi e poi,
passati i giorni dei primier diletti,
ragion si desta e scopronsi i diffetti.
(Tollerar più non posso...) (In atto di avanzarsi)
(Ah no. Non fate). (Trattenendola)
Che disgusti vi diè la vostra sposa?
Non la posso soffrir così gelosa.
ragion di gelosia; fin che qui siamo
È gelosa mia moglie anche di voi.
l’ingiurioso confronto. Io son chi sono.
In voi la giardiniera ancor io vedo
e a un amante e a un soldato ancor non credo.
son del vostro german legata al laccio;
mi difenda lo sposo; io parto e taccio. (Parte)
Certo di nobiltade è un grande indizio
quel sputar le sentenze a precipizio. (Ironica)
favellando in tal guisa a una cognata. (Alla marchesa)
si vede che l’amore in voi favella;
nasce la compassion dall’esser bella.
stimo, apprezzo il suo merto e lo protesto.
se vendetta non fo, non son contenta.
ma è maliziosa e accorta e il mio Mengotto,
impazzito per essa è più che mai.
che un barone non è ma un birichino.
da legger diede al cavaliere in mano?
questi i frutti son, signora mia,
della sua baronia che vale a dire
l’arte dell’impostura e del mentire.
Ed io mi soglio accendere per poco.
padrona in questo tetto una che vanta
giovinezza, bellezza e virtù tanta.
senza il duolo fatal di gelosia.
La mia sposa dov’è? (Alla marchesa)
Io sua serva non son né sua custode.
or ch’è sposa ancor essa e cavaliera,
non la vorrei veder sì brusca in ciera.
all’incognita sua data ha la mano.
ma voi lo dite ed io non credo un zero.
Spropositi, pazzie. Donne e poi donne
Non mi fate venire... Andate via.
che a servirla verrà lo sposo ingrato,
buon amico e fedel di suo cognato! (Con ironia)
Venirmi a metter delle pulci in testa!
so che Marianna è dessa... Ah! Se non fosse?
Cospettone! Sarebbe il bell’imbroglio.
Tutti le voglion ben... Tutti, sì tutti.
E mio cognato ancor? Sì mio cognato
l’ama semplicemente... E mia germana
Eh sarà una pazzia. È donna, è donna
Peraltro io sono un pocolin confuso.
per godere del cor la pace intera
la signora che or sono in giardiniera!
quel che tanto mi piace e mi diletta.
rido de’ miei nemici e della sorte.
a servire costei con buon affetto,
tutto quello ch’io fo fo per dispetto).
Se sdegnate accostarvi al fianco mio,
ecco m’alzerò io. (S’alza)
eccomi; son da lei. (La gran dottora!)
Gran sfortuna, davver, che ho io con voi.
la farà fortunata o sfortunata! (Ironica)
non scordomi il passato. Il ciel ringrazio
con voi, con tutti quanti, e mal mi viene
se veggo che qualcun non mi vuol bene.
(E pur dovrei lodarla, e pur in petto
mi macera l’invidia a mio dispetto).
Sì signora. (Ruvidamente)
E a dirli ch’io lo bramo.
L’ho capita. (Come sopra)
Sarà servita. (Come sopra)
Oh cosa dice? (Con affettazione)
ditemi il vostro cor libero e schietto
e un sicuro perdono io vi prometto.
Se comanda così la servirò.
è un vizietto comune e non è poco
Ecco lo sposo mio. Mi par turbato.
e a smentir le bugie poco non vale).
Mi parete, davver, di malumore.
voi siete la mia stella e a voi dappresso
si dilegua, sparisce e fugge via.
l’amor vostro turbasse e la mia pace.
(Questo suo dubitar mi dà sospetto).
credo ch’esser possiate e che il mio core
esser non può del vostro ben mai sazio.
(Non petita excusatio est accusatio).
al solito con me tenero amante.
Ho per la testa delle cose tante.
fate la confidenza. Via, carino,
quanto bene vi voglio; ah propriamente,
tremo, piango, m’uccide un fier dolore! (Piange)
(Ah ressister non so, mi crepa il core). (Piange)
d’una donna d’onor che s’ha a temere?
Ditemi, che v’ha detto il cavaliere?
se celate così quel che vi ha detto,
a ragione ho di voi qualche sospetto.
vo’ saper fra di voi quel ch’è passato.
Ma non è il cavalier vostro cognato?
non mi mette a coperto a sufficienza;
anzi ho più da temer la confidenza.
di formare di me sì vil concetto.
e la nascita mia dal ciel scoperta...
Eh la nascita vostra è ancora incerta!
Essere vi potrebbe un qualche imbroglio.
Esser può Tagliaferro un impostore.
Nix italian capir. Presto parlar, (A Marianna accennando il marchese)
se strapazzo mi dir, testa tagliar.
han fortune, ricchezze e i primi onori. (A Tagliaferro)
Jo jo, main libre Her. Per mio falore
a la gherra mi star braffo impostore. (Al marchese)
Non ci ho difficoltà. Lo credo anch’io. (A Tagliaferro)
(Riparato ha Marianna al caso mio).
star viaggio per fenir. No star lontan.
Cara figlia abbracciar forse timan.
Voi ne avrete piacer? (Al marchese)
Ed il buon Tagliaferro un impostore?
Perché più non lo dir? Perché negar
che impostore mi star per mia brafura?
Sì signor, ve l’accordo, è un’impostura.
sia la mia condizione ed il mio stato?
Non so quel che mi sia; chiedo perdono.
No no, non vi umiliate a cotal segno,
sia di vostra bontà l’affetto mio.
Sì a dispetto d’ognun, vostro son io.
So chi siete, mio ben, v’amo e vi credo.
Se lo dite di cor, di più non chiedo.
un leone, una tigre, una pantera
e più crudel d’ogni qualunque fiera.
e provisi di farmi il suo sermone,
che io le risponderò colla canzone.
mio padre a me sen viene e questo foglio
della mia felicissima avventura.
comandar, se foler che mi andar fia.
andar incontro de mi colonnello.
e foler aspettar per notte e giorno
a osteria dove star piccolo corno.
di vederlo bramosa. Alle mie stanze
mi ritiro frattanto e questo foglio
legger di nuovo e ribacciare io voglio. (Entra in una camera)
Galantuomo. (A Tagliaferro)
quello che intesi a dir? Che il genitore
E pur v’è chi non crede e chi sostenta
che il barone venir. Dunque di fatto
Più rispetto a un par mio.
dove star Marianna. (Accenna la camera)
fenir, fenir con mi, non dubitar. (Lo prende per un braccio e lo conduce in camera di Marianna)
Ha servito assai bene il cavaliere.
Ei non sospetterà di suo cognato.
di Marianna vedrete il genitore.
non so se con isdegno o con piacere
con Marianna vedrete il cavaliere.
sopportare una simile vergogna.
se i vostri e i torti miei non vendicate. (Parte)
o cominci d’adesso a prender foco.
(Ma se v’è il corazzier mi fa paura).
(Non vorrei che venisse il corrazziere).
Mi rallegro con voi... (Al marchese)
Fuori v’aspetto a rendermi buon conto. (Parte)
nel cortile, in un prato o sulla strada.
a cambiare per me l’amore in sdegno
e tal mi usasse trattamento indegno?
lo conosco, lo so, de’ miei nemici.
e il mio sposo m’adora ed è innocente.
crederebbe più a me che a chi mi accusa.
è un perfido ancor esso, è un menzognero.
Ah perfido il mio ben! No, non è vero.
Umilissima serva. (Con inchini affettati)
A lei m’inchino. (Come sopra)
a me piace il buon cor, non le apparenze.
Faccio l’obbligo mio. (Come sopra)
Fo il mio dovere. (Come sopra)
vi conosco, lo so, voi mi burlate.
Pronta son, se comanda, ad obbedirla. (Come sopra)
che volete da me? Che mi recate?
che alla nostra padrona innanzi sera
questi abiti portiam da giardiniera.
che da noi sia spogliata e sia servita
e come un dì solea sia rivestita.
Del voler del patron non rendo conto.
coll’abito leggier può rinfrescarsi.
col guarnello e il cappel da ortolanella.
Soddisfarlo saprò. Nelle mie stanze
Riverente m’inchino e vado via.
Merito sol può farmi la costanza,
fin che vita riman, vi è ancor speranza.
disponete di me. Son cavaliere
né soffrirò che l’innocenza vostra
tradisca, insulti il vostro sposo ardito.
Non parlate così di mio marito.
Del vostro amor quel disumano è indegno.
Io l’amo ancor col più verace impegno.
Vi dispreggia, vi offende.
ch’ei si esponga al cimento.
Gli farò col mio sen scudo e diffesa.
Tanto amor per chi v’odia?
vo’ di vita mancar pria che di fede.
mostrar tanta passione, a mio dispetto.
di usarmi carità, se non rispetto.
d’apprender la virtù d’un’alma indegna
che ad involar gli altrui mariti insegna.
e vi faccia capir come conviene
che chi altrui fa del mal non può aver bene. (Parte)
l’odio trionfi e si divida il letto.
Sì, traditor, la libertade accetto.
un’innocente dal livore oppressa,
vuol che abbiate a provar la pena istessa.
L’onte d’una rival soffrir non voglio.
Né soffrire degg’io sì folle orgoglio.
per gelosia soverchiamente irata,
sono dal mio livor precipitata.
Una nuova, signora; or mi fu detto
che il padre di Marianna, o sia Cecchina,
a questo marchesato si avvicina.
nuovi spaventi al cor di mio germano.
E scacciata colei sperassi invano.
e che nascan dell’altre novità
far che vada costei lontan di qua.
cader sopra di me! M’odia il germano,
m’abborisce il consorte, ognun mi chiama
e la rovina mia non è lontana.
non si deve avvilir sì facilmente.
vada lungi di qua la prosontuosa.
Il tempo poi aggiusterà ogni cosa.
è l’ira dello sposo. Ei mi ha perduto
e il core e il letto separar m’intima.
mostrano qualche volta del rigore
hanno per la consorte, vi vuol poco
a far che torni a riscaldarsi il foco.
cessata la cagion ch’ora l’irrita,
mi vorrà seco dolcemente unita.
pria che qualch’altro impedimento accada,
vo’ che tosto colei da noi sen vada.
queste sì care un tempo amiche spoglie,
spoglie di libertà semplici e pure,
se m’ingombrano il sen sdegni e paure?
fra l’erbe e i fiori a ricercar riposo,
se d’amore nel petto ho il serpe ascoso?
dall’atto d’umiltà con cui discendo,
con cui soffro costante il duro affanno,
muover spero a pietade il mio tiranno!
s’era degna di te colei che amasti.
Quando il merito men, m’oltraggi a torto;
io t’obbedisco e i sdegni tuoi sopporto.
quel abito indecente al vostro stato?
dolorose vicende e da me impara
vera stabilità nella fortuna.
da signora che foste a giardiniera?
Vuoi ch’io accresca il mio mal coi miei trasporti?
che se perdo ogni bene, ogni speranza,
la virtude mi resta e la costanza.
Più resister non posso a un tal dolore, (Piange)
proprio il vostro parlar mi piomba al core.
Quella rara bellezza è un grand’incanto.
oh vi vuole una grande sofferenza!)
Di restare e d’andar padrona io sono.
Vatene, impertinente, o ti bastono.
a una donna mia pari?... Ecco il padrone. (Con allegrezza minacciandolo)
Se davvero lo dice il mio tesoro
dalla consolazion sento ch’io moro.
Siete buona, vi credo e son contento.
Ah resister non posso a tal dolcezza. (Piange)
Ah che piango ancor io per tenerezza. (Piange)
Ecco signor padrone, ecco le prove
della bella onestà della signora.
Ei conserva nel sen le fiamme sue.
Piangono tutti e due per puro amore
e vi fanno, signor, sì bell’onore.
Io ti farò morir sotto un bastone. (Al suddetto)
Credo a quel che vid’io cogli occhi miei.
Piango, perché son tenero ed umano. (Al marchese)
Vattene via di qua, brutto villano.
Quel dì ch’io ti mirai sia maledetto. (A Sandrina)
Parla così, perché d’amore è acceso.
voi serbate nel cor gli antichi amanti.
all’innocenza mia sì orribil torto.
un villano rival dell’amor mio.
(Non vi fidate). (Piano al marchese)
Siete infedel; più non vi voglio; andate. (A Marianna)
(Come creder ciò possa io non capisco). (Da sé)
(Deggio usare il rigor ma ci patisco). (Da sé)
persuaso di me. L’inganno vostro
or temete di lei con un villano.
(Ci mancava costui). (Da sé)
piangere tutti e due, sol per amore.
d’una donna infelice il crudel stato?
Voi solo avete un cor barbaro, ingrato.
(Credo che dica il ver). (Da sé)
che vi macera il cor. (Al marchese)
(Lo temo anch’io). (Da sé)
alla moglie vicino un che l’adora? (Al marchese)
(Ritorniamo da capo). (Da sé)
(A tempo è giunta). (Da sé)
E m’intimò la division del letto. (Al marchese)
Anche questo di più? Corpo di Bacco!
Voi portate rispetto a mia germana, (Al cavaliere)
voi andate di qua, presto e lontana. (A Marianna)
Che leggierezza è questa? (Al marchese)
Me n’andrò. (In atto di partire)
Vada a buon viaggio. (A Marianna)
E che pretendi?... (A Mengotto)
(Ora sto fresco). (Da sé)
(Ti ringrazio fortuna). (Da sé)
se taccio è mal, peggio sarà s’io parlo.
Anderò per rispetto ad incontrarlo. (In atto di partire)
Non usate viltà. (Al marchese)
Non l’irritate. (Al marchese)
Statevi in casa. (Al marchese)
Vado? Resto? Che fo? Taccio o favello?
Che risolver non so. Perdo il cervello.
essere un impostore; ma quand’anche
foss’egli tal, lo dico e lo prometto,
lungi dovrete andar da questo tetto. (Parte)
Non temete di lei, siete sicura
che padrona sarete in queste mura. (Parte)
Il padron non vi vuol, già lo sapete. (Parte)
Qui dovrete restare e ci starete. (Parte)
Parla in altri l’invidia, in altri il zelo,
io confido nel cielo ed ho speranza
che premiata sarà la mia costanza.
tutto quel che passato è fra di noi.
E poi quel che sarà voi lo vedrete.
Eccolo. (Non vorrei...) Per or tacete.
giubilare nel sen per il contento). (Da sé)
Dofe star figlia mia? (Al marchese)
Eccomi a’ vostri piedi, o genitore. (S’inginocchia)
Was ist? Mariandel, edel Fraul, frai Fraule,
che affer patre barone e colonnello,
contatina festir, portar capello?
sin dalla prima età ci ha preso affetto.
Si è vestita così, per suo diletto. (Al colonnello)
Star contento, signor? (Al colonnello)
La tedesca favella ancor mi è strana.
Benché Italia mancar zovanzich anni.
Zovanzich non capir? Star anni... Aspetta.
e soffia per andar? (Impazientandosi)
Jo da Italia mancar star anni venti.
(Ho piacer ch’egli sia di buonumore).
che nix letto dormir star notte train;
afer tu Brandvain? (Al marchese)
Quel che pozzo impenir come chiamar?
Jo beffere mi fol dell’acquavite.
una bella fatica). Sì, signore,
ho in genere di ciò cose perfette.
il mio caro marito, andrò io
prontamente a servire il padre mio.
e contenta son io del suo bel core.
per ghenero Marggraff, gutt, onorato. (Al marchese)
(Non ardisco di dir quel ch’è passato).
e foler ti donar per testamento
e reggimento de caffaleria.
non vuo’ per gelosia precipitarmi). (Da sé)
E con stiffali non poter più star.
Andiamo. In casa mia può comandar.
Venga, venga con me. Sarà servito.
Oh cospetto di Bacco! Avran finito
sapesse tutto quel che a lei fu fatto,
vendicarsi vorrebbe ad ogni patto.
Ei di quanto è passato è informatissimo.
ho informato dall’a per fino al ronne.
Nascerà, lo prevedo, un precipizio. (Parte)
e di quello che ho fatto io non mi pento.
e confesso che a torto ho sospettato.
di Bologna è perfetto e so che piace
stassera radunar diversa gente
e i sponsai confermar solennemente.
un piccolo festino e spererò
che voi, signor, l’aggradirete.
Con licenza, signor. (Vo’ coltivarlo). (Parte)
che del genero vostro è la germana. (Al colonnello)
Per servirla signor. (Ma alla lontana).
avesse dato dispiacere anch’essa,
e di voi e di lei sinceramente.
Sì signor, così è. (Forzatamente).
Brandevain foler? (Offerisce il rosoglio alla marchesa)
mi permetta signor ch’io lo rifiute.
Tar Taifle; befer ie. Per tua salute. (Beve)
Mi permetta, signor, deggio andar via.
No, gli potreste dir così e così.
Per dir la verità so che mi adora
ma è gelosa un po’ troppo e mi martora. (Al colonnello)
che star matto italian per gelosia.
Ah purtroppo è comun sì gran pazzia.
(Per dir il vero, ho un poco di spavento). (Piano a Sandrina)
La riverisco. (S’inchina)
Se mi comanderà mi farà grazia.
la servirò se mi comanda.
Se mi vuol favorire, anch’io l’accetto.
quando pipa finir, peffer anch’ie. (Egli seguita a fumare ed esse bevono a sorsi)
tu pur coll’altra gente, e fa’ che tutto
e che le cose vadano appuntino.
quanto mi comandate. Ah sì padrone,
ch’è per voi sì amorosa e così buona.
va’ a far quel che ti ho detto.
e vo’ ballare e vo’ saltare anch’io.
Ma chi sa poi s’io sia guarrito ancora?
(Ecco lo sposo mio. Chi mai sa dirmi
se scacciata ha davver la gelosia?
Dubito che vi sia nel core il tarlo;
con un po’ d’artifizio or vo’ provarlo). (Da sé non veduta)
più non voglio impazzir come ho impazzito).
perché vo’ che fra noi parliamo un poco.
ci potremo parlar secretamente;
ora a stare pensiamo allegramente.
non vorrei che tornasse in gelosia.
più geloso non son, ve lo protesto.
Se lo dite di cor, di più non curo.
Ve lo dico di cor, ve l’assicuro.