Metrica: interrogazione
276 endecasillabi (recitativo) in Il matrimonio discorde Roma, Puccinelli, 1756 
Ah mi querelo e mi tormento invano.
Don Ippolito certo ha del villano.
lo scortese balzò fuor delle piume.
sarà al solito stanco e affaticato.
ora al monte, ora al piano, a sol scoperto!
Per la sua moglie nol farebbe al certo.
Oh bel piacere! Oh bel piacer la caccia!
Prendete avanti dì sì bel concento
e andate sempre a contrastar col vento!
ci sto sino alle dieci; e vi par poco?
Ma chi puole alle due cacciarsi in letto?
Chi può starci qual voi, fin mezzodì?
Vien la conversazione e fin che dura
farle conviene un trattamento onesto.
La mia conversazion finisce presto.
Avvilirvi cotanto è una vergogna.
Voi vi alzate assai più che non bisogna.
                                       Oh il bell’onore!
                                    Oh! Voi deriso
                                               Ognun per sé.
che facciate, signora, a modo vostro,
ma lasciatemi almeno andare a caccia.
colle villane a pappolar castagne.
se a suo modo vuol fare, io faccio al mio.
unirci in opinione ed è tutt’uno.
e ostinati, a dir ver, siam tutti due.
venga il signor marchese; egli è padrone. (Grillo parte)
prattica sol villani. In questa nostra
Sempre bella e gentil, sempre garbata.
                                     (È sempre caricata). (Da sé)
                                    Anzi benissimo;
quel che al gioco iersera io guadagnai.
                                      Mi dispiace
                                   Mi maraviglio;
pena di queste cose io non mi piglio.
è avvantaggio per me non sì leggiero,
guadagnando il favor d’un cavaliero.
(Procurerò di favorirla spesso). (Da sé)
una grazia vorrei, signor marchese.
se disturbo sovverchio io non le reco,
che oggi restasse a desinar con meco.
(Per queste grazie non mi fo pregare).
che avete, inver, di principessa il vanto.
misurando col cuor la mia fortuna,
m’abbiano i genitor cambiato in cuna.
Lo dubito ancor io; chiaro si vede
in quella fronte ed in quel ciglio altero
che vostra madre non ha detto il vero.
un discreto consorte avessi almeno,
potrei far col mio spirto altra figura!
in abbietto villaggio i giorni suoi.
                                         Ci sto per voi. (Dolcemente)
la vostra nobiltade, il grado vostro,
il vostro spirto d’eroismi adorno
piacevole mi rende il mio soggiorno.
                                                             In grazia
lo scalco, il maggiordomo, il credenziere
che oggi abbiamo alla mensa un cavaliere.
se per poco da voi mi ho da dividere.
(Mi vuol fare costei crepar di ridere).
Bella, bella davvero, arcibellissima!
all’estremo del buon tanto s’accosta
che per farsi burlare è fatta apposta.
Vuol ch’io pranzi con lei? Si pranzerà.
di non voler trattar con i suoi pari;
e a forza ancora d’essere schernita
vuol essere servita da un marchese
ed io godo il buon tempo alle sue spese.
che, alfin, di questa casa io son padrone.
vuol dar questa mattina alle mie spese
Vuo’ che voi ci venghiate in compagnia
e anch’io voglio goder la parte mia.
che paura non ho de’ brutti musi.
ma sono al par di lei donna onorata.
E per tale vi tengo e più vi stimo
noi non sappiamo colorir la pelle,
e coperta tenghiam la robba nostra,
perché vendere vuol chi fa la mostra.
carne di qualche bestia poco sana.
                                        Eh non importa.
Non come fan le vostre mogli belle
che a dispetto dell’uom commandan elle.
tacete e state lì, come marmotte.
un qualche dì non fugirà dai lupi.
Non la voglio trattar con villania,
stiamo in pace per oggi e in allegria.
                                        Ospite sono
                             Me ne consolo. (Al marchese)
Usategli un po’ più di civiltà. (A don Ippolito)
                                        Oh quest’è bella!
Voi l’avete invitato, io son contento.
Che? C’è bisogno d’altro complimento?
Dice bene il signore. (A donna Florida)
                                        Dice male.
Ei della civiltà sa poco gli usi. (Al marchese)
Voi ne sapete assai. (Ironico a donna Florida)
                                       Con vostra pace
d’insegnarvi a trattar sarei capace.
Dice ben la signora. (A don Ippolito)
                                       Dice male,
Ciascheduno ha di voi le sue ragioni
pace, pace, signori, in grazia mia.
                                           Donna più placida
                                    La quiete io bramo.
                                        La moglie io amo.
Oggi goder io spero i dolci effetti
                                   Mai più.
                                                     Mai più.
(Almen per oggi che si mangi in pace). (Da sé)
mi lasciarete voi? (A don Ippolito)
                                   Voi questa sera
                                   Presto verrò.
                                            Mai più contese.
                                            Moglie cortese!
Non potrebbe più far conversazione). (Da sé)
                                  Ma poi, signora,
senza il marito e le sue grosse entrate
la figura e lo scialo che ora fate?
non vuo’ mettermi a rischio un’altra volta
che quella testa originale e strana
mi conduca sugl’occhi una villana.
                                    Metterlo a segno
Di questo cuor non vi mettete in pena.
(Bastami qualche pranzo e qualche cena). (Parte)
Mettermi a fianco una villana? A me
che posso stare a tavola d’un re?
farmi servir da un principe d’altezza?
di venire con me non è più degno.
condur chi voglio! E mi ha da comandare
e l’ho lasciata fare, in avvenire
e intendere mi fo, quando raggiono.
                                             Una parola.
(Brutta fisonomia! Che mai vorrà).
                Che cosa vuol?
                                             Venite qua.
                                              Io da lontano
parlar non vuo’. Venite a’ cenni miei.
                                La non si scaldi.
Per due passi di più si potrà fare.
                                      Avete moglie?
                                            Avete seco
                                   In casa mia
parente, amico e protettore io sono.
                                       D’averla offesa.
ho ragione, signor, che me ne avvanza.
Men parole, vi dico, e men baldanza.
Ho da chieder perdono a quell’ardita?
Non so che dir; preme salvar la vita).
per placarla, di cuore un complimento.
(Maledetta!... Costui mi fa spavento).
È lei che mi domanda? (Al marchese)
                                             Sì signora.
Son qui per vendicar le vostre offese.
Grazie alla sua bontà. (Bravo marchese).
                                         A voi; chiedete (A don Ippolito)
o che vi passo il cor, da quel ch’io sono.
di ricever da me simile offizio. (A donna Florida)
Imparate a trattar con più giudizio.
Presto, vi dico, o che vi passo il petto.
quando meco facesse il bell’umore,
il parente, l’amico, il protettore.
mi levo i baffi e lo straniero arnese.
Mi raccomando a voi, signor marchese.
Correrò se bisogna anche la posta.
Per le donne servir son fatto apposta.
mia sovrana, mia dea, mio sol, mio nume.
Ardo come farfalla intorno al lume.
Pende dagli occhi vostri il mio destino.
chi a voi non dà della bellezza il regno.
ma voi siete, davvero, un bel poltrone.
Per quel che vedo non sapete niente.
                                           Poverino!
Coi brutti baffi e con quel brutto arnese,
lo sapete chi è? Il signor marchese.
                                          Quello, quello.
                                    Sì signore.
Che me l’ha confidato il suo fattore.
Farmi alla moglie mia chieder perdono,
se vendetta non fo, non son chi sono.
                                 Restate qui,
                                            Signorsì.
perché anch’io sono stata strappazzata.
voglio render, affé, pan per focaccia. (Parte)
che dicono di noi, per quel ch’io veggio,
con tutti i lor denar stanno anche peggio.
Non si contentan mai. Le genti basse
e prenderebbe dell’altezza ancora
fatto de’ capitali un bel consumo,
va l’arrosto perdendo e resta il fumo.
che all’occasion vi chiamerò fra poco.
che oggi mi ha fatto la soverchieria,
che ci fosse con lei quel bel signore
Ehi, dico. (A donna Florida alterando la voce)
                     Mio signor.
                                            Presto; da me.
(Se ci fosse il marchese!) (Da sé con timore)
                                                A chi dich’io?
Qua dovete venir, quando v’invito.
(Oh se almeno ci fosse mio marito!) (Da sé)
                                     Signorsì.
                                Così e così.
                           Quand’ho da dire,
quel mio marito non si può soffrire.
Non voglio che di lui si dica male.
cospetto, cospetton, v’ammazzerò.
(Venga, che anche per lui preparo il resto).
                                                  Oimè colui
che faccia a modo mio; voglio che chieda
cospetto, cospetton, voglio ammazzarlo.
Finalmente non è poi sì gran cosa.
                                          Vi consiglio,
pel vostro bene (e per il mio periglio).
                                       Certo... Non so...
Vi abbasserete voi? (Mostrando la spada)
                                       Mi abbasserò. (Tremando)
Sì signor, lo farà, non dubitate.
(Voi avete paura). (A donna Florida)
                                    (E voi tremate). (Al marchese)
                                          Oh questo no...
Desinerete voi! (Mostrandogli la spada)
                               Desinerò. (Tremando)
Sì signor, sì signor, non minacciate.
(Voi avete timor). (A donna Florida)
                                    (Voi non burlate). (Al marchese)
Fate quel che commando, io qua mi celo;
voglio starvi a vedere e quando poi
non si faccia così poveri voi. (Li minaccia con la spada e parte)
                                Si farà tutto.
                                         (L’impegno è brutto).
                                      Vi vuol pazienza,
s’egli ha fatto con voi la stessa cosa.

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