Metrica: interrogazione
479 endecasillabi (recitativo) in Il mondo alla roversa Venezia, Fenzo, 1750 
e partite fra voi le cure e i pesi.
altri all’ago, altri all’orto o alla cucina,
dove il nostro comando or vi destina.
Se goder non si può, si spera almeno.
per sua felicità muore cantando.
abbiam noi sottomesso il fier orgoglio,
tener l’abbiamo incatenato al soglio.
mie fedeli compagne e consigliere,
gli uomini per tenere a noi soggetti?
scuote e lacera il fren, quand’è pietoso.
tener gli uomini avvinti e incatenati.
tutto soglion soffrire; e quanto sono
più sprezzanti le donne e più crudeli,
essi son più pazienti e più fedeli.
È ver, ma crudeltà consuma amore.
accenderli ben bene a poco a poco
e poi del loro amor prendersi gioco.
Né troppo crude né pietose troppo
essere ci convien, poiché il disprezzo
eccita la pietà soverchio usata.
La fierezza è temuta e non amata.
ed il sesso virile a noi si prostri.
Ognun pensi a suo senno; io vuo’ costoro
aspramente trattar; voglio vederli
un leggiero piacer mi paghin caro. (Parte)
che per troppo voler s’avesse a perdere
l’acquistato finor dominio nostro.
che nei vezzi, nei sguardi e in le parole.
Spade e lancie trattar, loriche e scudi
non è cosa da noi. Se l’uom si scuote,
val più un braccio di lui che dieci destre
ch’hanno il loro potere in esser belle.
saggiamente parlate e a voi la sorte
ma il senno ed il saper più che virile,
del vostro corpo graziosetto e bello
ha supplito con darvi assai cervello,
vi diè il nome di Tulia con ragione,
poiché sembrate un Tulio Cicerone.
siano leggi migliori, onde si renda
impossibile a l’uom scuotere il giogo.
Che se l’uomo ritorna ad esser fiero
farà strage crudel del nostro impero.
puol recar alla donna il fier rigore!
soffrir li fa la servitude in pace
Io fra quanti son presi ai lacci nostri
e lo tratto, perché mi adori e apprezzi,
Graziosino, lo schiavo a me soggetto. (Parte il servo)
merita ch’io gli faccia buona ciera,
Eccolo ch’egli viene. Ehi Graziosino.
e in tre mesi ho fatt’io mezza calzetta.
                                    Vi voglio bene.
E vederete del mio amore il frutto.
                                     Gnora sì.
Oh benedette sian le mie bellezze!
mi recarete il cioccolato al letto;
voi dovrete aspettar e star di fuori.
                                      Aspetterò.
farò tutte le cose più triviali;
impiegarvi non vuo’. Voi siete alfine
tanto caro al mio cor, tanto bellino.
Oh che gusto, oh che gusto! Ah che mi sento
andar per il contento il cor in brodo.
Graziosin fortunato! Oh quanto io godo!
d’un corrisposto amore. Aman le belve,
amano i sordi pesci, aman gli augelli,
e quei che amar non san son tutti matti.
questo capel, che colla polve è intriso,
spargo fiamme e faville; e questa bocca,
che sembra agli occhi miei graziosa e bella,
fa tutte innamorar quando favella.
ma sovra il loro cor tutt’ho l’impero.
Ecco la vaga Cintia. Presto, presto,
il nastro, la paruca, i guanti, tutto,
tutto assetar conviene e gli occhi e il labro,
colle dolci parole e i dolci sguardi,
si prepari a vibrar saette e dardi.
Mia sovrana, mio nume, a voi m’inchino.
                                      Qual farfalletta
vengo, mia bella, a incenerir le piume.
vi potreste chiamare un farfallone.
non pronuncia che grazie e bizzarie.
La vostra non sa dir che scioccherie.
quelle belle incensar guancie adorate.
Andate via di qua; non mi seccate.
i fumi del mio cor, porterò altrove
il mio affetto sincero e la mia fede.
Voi stacarvi da me! Voi d’altra donna
                                         Tormenti e pene.
spezzate voi questa catena ingrata.
di servirmi fedel con tutto il core
come s’io fossi un uom zottico e vile,
e studio invan di comparir gentile.
abbastanza gentil, grazioso e bello.
quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
m’hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
                                               Sì, v’adoro.
per render grazie al vostro dolce amore.
Oh signor no; voi lo sperate invano.
                     No me n’importa niente.
                                 Voi siete mio.
                                   Quel che vogl’io.
Ah quel dolce rigor più m’incatena!
morirò, schiatterò, se lo bramate.
Basta, bell’idol mio, che voi mi amate.
con questo sospirar, con questo piangere.
le donne insuperbite più diventano
e gli amanti per gioco allor tormentano.
l’impero di quel cor voi perderete.
lo perderei colla pietade e i vezzi.
a saziarsi di tutto e cambiar spesso.
ma son, quando fia d’uopo, anco pietosa.
freno di lor l’affetto e la baldanza,
fra il timore li tengo e la speranza.
de’ vostri servi il più fedel son io.
che sol quando per voi, bella, m’adopro,
felicità nel mio destino io scopro.
siete pentito ancor d’avervi reso
suddito e servo mio? Vi pesa e incresce
Sembravi la catena aspra e severa?
sotto l’elmo i guerrieri; Astrea tormenti
studi e s’affanni il fisico impostore.
di chi mena sua vita in duri stenti,
godo, vostra mercé, pace e contenti.
i vassalli ed i servi e non crudeli
siamo coll’uom, qual colla donna è l’uomo.
non compagne dell’uom ma serve e schiave,
condannate dal vostro ingrato sesso,
far per noi si dovria con voi lo stesso.
Ma nostra autorità, nostro rigore
ed il vostro servir, che non fia grave,
sarà grato per noi, per voi soave.
d’amor la prigionia? Finché un amante
fra il dovere e l’amor, fra il dolce e il giusto,
pace intera non ha ma poiché tutto
s’abbandona al piacer gode e non sente
i rimorsi del cor... Ma oh dio! Purtroppo
li risento al mio sen, malgrado al cieco
e mi sgrida l’onore, a mio dispetto.
se possibile sia, scacciar dal cuore
                                          Vago Ateone!
poiché son vostro amante e vostro servo,
ma ohimè, che Ateone è diventato un cervo!
Io crudele non son qual fu la dea.
Arder tutto mi sento ai vostri rai.
come per vostro amor son tutto foco.
Acqua, acqua, padrone, acqua vi vuole
                                       Oh Cintia mia,
                             E saranno bastonate.
Bastonate a un par mio? Deh Aurora, a voi
Siete schiavo di Cintia, io non comando.
Faccio quello ancor io che fanno tante.
                                         Allor che sapia
voi dovrete tremar dell’arte mia.
                                      Poco m’importa,
vada tutto sossopra il nostro impero.
                                   Vengo.
                                                  Crudel, voi dunque
                                Ma se conviene...
                                             Eccomi lesto.
                                   Eccomi, io resto.
da tre cose guardar noi si dobbiamo.
fide, caute, pietose esser dobbiamo.
se acquistar più vassalli io cerco e bramo.
Nostro poter, nostra beltà risplende
ci recano in tributo i loro cuori.
libere amar potiam chi noi vogliamo.
i dritti altrui. Ma colle smorfie e i vezzi
gl’uomini non si fanno cascar morti,
per far alle compagne insulti e torti.
finché la libertà goder si puole.
far si potrebbe eterno e in questa guisa,
se una femina sola impera e regge,
tutti avranno a osservar la stessa legge.
Non mi spiace il pensier ma chi di noi
il rigor porre in uso e la clemenza.
in catene tener gl’uomini tutti.
degli uomini frenar sapia l’orgoglio.
si proponga di noi; ciascuna ai voti
il proprio nome esponga e il trono eccelso
                        Io l’accetto.
                                               A noi si porga
l’urna e i lupini; ed io, poiché la prima
fui a proporre il nobile progetto,
prima m’esponga e i vostri voti aspetto.
Ora il pensier comun vi sarà noto.
Voi non avete avuto neanche un voto.
e la vana ambizion vostro costume.
voi non avete neanche un voto solo.
per cui fatta mi vien questa ingiustizia.
(Questa volta senz’altro il regno è mio).
il bossolo del sì per voi è vuoto.
è un torto manifesto che mi fate.
Per quello che si vede e che si sente,
a ognuna piace il comandar sovrano
                                        (A lor dispetto
                                    (Con l’arte usata,
giungerò forse ad occupar il soglio).
vada ciascuna a essercitar l’impero
che possiamo regnar noi donne unite,
se la pace voltar ci suole il tergo
quando siamo due donne in un albergo?
questo debba durar dominio nostro.
e ogni donna ha nel capo i grilli suoi.
Osservate, compagni, ecco un naviglio
volontari venir schiavi ed amanti.
che l’uomo di lontan tira ed invita.
ma ogni donna ne tien la sua porzione.
a servire e goder de’ vostri amori.
e senza discrizione imprigionateli. (Sbarcano Ferramonte e tutti gli naviganti; e frattanto si suona alternativamente nella barca e nella orchestra)
più in me cresce il desio di regnar sola).
Se sola regnerò starò più bene.
                                          E voi non siete
                                       Anzi nascosto
quindi mi son, per non andar con loro,
mentre la libertade è un gran tesoro.
Questo tesor l’abbiam sagrificato
che il cuor sagrificate ai visi belli!
nata per divertirsi e non far niente!
nell’amar, nel servir le nostre belle.
bell’impiego davver, degno di voi!
e che l’uomo tener vinto ed oppresso
è il trionfo maggior del loro sesso?
che si liscia, s’imbianca e si colora.
                                 Son lusinghe
e le femine poi di ciò si vantano.
cento soglion tradir un doppo l’altro.
                                      Il vostro cuore
Ah purtroppo egli è ver! Parole e sguardi,
schiavi della beltà, son tutt’incanti.
La libertà mi sembrerebbe or pena.
liberarsene affatto invan si tenta.
La vogliamo vedere. O regnar voglio
o di tutte le donne è fritto il soglio.
Non mi posso veder compagni intorno
o sarà il primo a sostener mio sdegno.
Vi domando perdono e a voi mi prostro.
ch’ho lavata la colpa in mar di pianto.
Ogni errore passato io vi perdono.
Balzar il cor per il piacer mi sento.
di donarmi un bel volto ed un gran core.
(S’è bravo com’è bel, sarà un poltrone).
armato a’ vostri cenni il braccio mio
svenerà, se fia d’uopo, il cieco dio.
                             Nulla è difficile
                                            Ecco l’accetto;
mi passerò, se lo bramate, il petto.
Or di sangue virile io non ho sete.
cento donne e non più, per parte vostra.
                                          Se voi ciò fate,
ricusaste obbedir il mio precetto,
vi passerò con questa spada il petto.
per dirla, non vorrei morire ancora.
risolver tosto. O delle donne il sangue
o rimaner per le mie mani esangue.
tutte le donne ammazzerò del mondo.
                                    Ve n’assicuro.
                  Sulla mia beltà lo giuro.
credete a me, non ve ne pentirete.
per piacer al mio ben? Sì sì, si faccia,
ah! che se la rimiro io vengo meno).
l’ucciderò senza mirarla in viso).
                                  Signora no.
Son un novello immitator d’Orlando.
                         Non posso.
                                               E perché mai?
Perché... Nol posso dir... perché giurai.
Forse di Cintia per gradir l’affetto
mi volete cacciar la spada in petto.
Ahi che non posso più; già vengo meno. (Gli cade la spada di mano)
Caro il mio Giacintino, io vi perdono.
chi vi diè questa spada ed a qual fine.
e un leggiero favor voi mi negate?
                                           Ah no, fermate.
Tutto, tutto dirò; Cintia volea...
Cintia sola sarà, voi tutto amore
siete bello di volto e bel di core.
della vostra bontà sì belli effetti.
Sono... Non so che dir. Son incantato.
per desio di regnar volea bel bello
L’invidia, l’ambizione e l’avarizia
e abbiam per sostenerlo poco ingegno.
voglio provar anch’io di far lo stesso.
La vendetta è commune al nostro sesso.
sarà l’essecutor del mio pensiero.
ma io non posso più; se spesso spesso
                                          Sì, la vedo. (Con timore)
Questa spada dovea passarmi il petto
serbato ha il viver mio da tal disgrazia.
Signora mia, con vostra buona grazia. (In atto di partire)
Allorch’io sento favellar di morte,
il cuor mi batte in seno forte forte.
Amo un ingrato che per me non sente
né timor né pietà. Cintia ha trovato
chi volea secondar il suo dissegno;
                                      Con questa spada
per un uomo, ammazzar femina imbelle.
Queste, lo dico anch’io, son bagatelle.
                                          Non lo so.
                                   Risolverò.
Perché, a dirla, ho un pochino di paura.
                                       L’ho provata;
                                        Sì, la tengo.
                                              E quando viene?
                                            Bene, bene.
                                         Gnora no.
                                   Come un Marte.
                                             Anzi Martino.
non so cosa mi far. Se vil mi rendo,
la mia poltroneria scopro a drittura.
Graziosin, ora è tempo, animo e core.
                                      Perfido, indegno,
                                              Sì, uccidetemi;
                                   Per qual ragione?
Perché mi fan le donne compassione.
delle donne gl’inganni e l’error mio.
di farmi vergognar de’ tristi affetti.
uomo qual fui nelle primiere spoglie,
pien d’eroici pensieri e caute voglie.
Le femine, sian brutte o siano vaghe,
e servito che ci han si lascian poi.
troppo han di forza sovra il nostro cuore.
                                               Ah Tulia mia!
per il desio d’occupar sole il regno,
ardono fra di lor d’ira e di sdegno.
(Un’altra volta vi vorrà ingannare).
                                    Che far degg’io? (A Ferramonte)
acquistato il mio core avrà un tesoro.
non vi faccia la donna un brutto gioco.
cauto mi ha reso e colla donna accorta
cieco più non sarò. Tulia peraltro
per troncare con questa i lacci miei.
che ingannare mi voglia il di lei cuore.
                                             Io son perduta,
                                  (Mi sento movere).
                                 Vi salverò.
                                    Sì, io v’amerò.
m’ha consigliato ad essere crudele;
ma, se una donna poi gli andasse appresso,
come un poltron cascherebbe anch’esso.
mi sento a divorar negl’intestini.
e la terra mi affoga e il mar mi accoppa,
ahimè, mi danno un maglio sulla coppa.
Andate col malan che il ciel vi dia.
                                       Io non so nulla.
                                            Sì signora.
                    Son qui.
                                      Vanne in malora.
La femina tradir non può l’usanza
e anche pazza mantiene la incostanza.
mi conosci, briccon, sai tu chi sono?
                                             Ah temerario,
o ch’io ti caccio questo stile in petto.
                                 La giurerò.
della donna tener gl’uomini sotto.
e gl’uomini vuon star a noi di sopra.
finalmente ha da star soggetta a noi.
                                               Questo «voglio»
a voi, signora, non sta bene in bocca,
perché alle donne comandar non tocca.
                                                Schiavo io fui,
ma veggo alfin che la bellezza nostra
è assai migliore e val più della vostra.
abbassate l’orgoglio e inginocchiatevi.
                             Più non sperate
amor da me né ch’altri amar vi voglia,
se negate di usar questa obbedienza.
Farlo mi converrà, per non star senza.
e la pietà dal vostro core attendo.
Lode al ciel, finalmente s’è veduto

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