Metrica: interrogazione
396 endecasillabi (recitativo) in Il paese della cuccagna Venezia, Fenzo, 1750 
Povero Pandolin! Che gran disgrazia!
M’avessero quell’onde subissato;
ch’ora non proverei sì fiera pena.
a lasciar la sua patria e con la madre
e col fratel meco è venuta in mare;
a far in terra il nostro sposalizio
se n’è andata la nave in precipizio.
M’avevo ritrovato un buon marito
e appena l’ho trovato l’ho smarrito!
aver la madre ed il fratello in mare;
m’è il dolor d’aver perso il caro sposo.
                    Pollastrina!
                                           Idolo mio.
                                            Evviva, evviva.
e non li ho più veduti a tornar su.
m’ha condotta del mar in sulla riva.
                                Il diavol che ti porta.
E tu come sei giunto a salvamento?
Ero quasi del mar andato al fondo,
e dentro della stessa io m’intricai.
m’hanno tirato su per un sturione.
                                     Questo è il punto.
e la fame principia a tormentarmi.
Non si vede una casa, una capanna.
siano ladri, corsari o malandrini,
già nella tasca mia non ho quattrini.
Manca il denaro e cresce l’appetito.
(Sento che quel presciutto il cor mi tocca). (A Pandolino)
(Che bel formaggio! Mi vien l’acqua in bocca). (A Pollastrina)
                                               (Oh che formaggio!)
(Domandiamone un po’). (A Pandolino)
                                                 (Non ho coraggio).
Bella coppia gentil, che fate qui?
che per maggior disgrazia si è salvato.
                                     Signorsì,
                                    Ma cosa avete?
Io signore... son morto... dalla fame.
dove sempre si beve, ognor si magna.
                                                  E che vorreste?
perché quello... mi piace... sopra tutto,
regalarmi... una fetta... di presciutto.
mangia e beve a sua voglia e non fa niente.
che prima d’aggregar un forastiero,
pria di dargli da bere e da mangiare,
serbar della cuccagna il bel costume.
                                           Qui non si giura;
                               Quant’è lontana?
nostro governator. Colà vi è il tempio,
dove Cerere, Bacco e Amor si adora.
Perché passar vi lascino alla porta,
due de’ compagni miei vi faran scorta.
Le leggi trasgredir voi non potete.
                                              Oimè mi sento
                          Se fosti maritata,
                                           Andiam. Ma piano.
                                               Per me son pronta,
giurar che non son figlia di mio padre.
                                              Già si sa.
partita con tua madre e tuo fratello,
                                              E che non devi
                                            Vi s’intende.
delle più modestine e più ritrose
M’ho fatto mal, con riverenza, a un piede.
Poverina! M’aspetta e se lo crede.
cosa posson voler da’ fatti miei,
perché prender un granchio non vorrei.
ch’io avessi in altre cose a faticare,
che mi condannariano per spergiuro.
il più bel dono ch’abbiano i viventi,
buon stomaco, buon gusto e buoni denti.
senza che il troppo vin vi faccia male.
faccia del vostro stomaco un lambicco
e in premio dell’amor che mi portate,
parte vi voglio far di mie vivande. (Vengono servi con torte e pasticci)
sulla spiaggia del mar ho ritrovati.
che sian ammessi al nostro trattamento
quegli affamati pellegrini erranti.
Le donne fan finezze a un uomo maschio
e gli uomini le fanno ad una femina?
se state bene voi, sto bene anch’io.
Se volete la sposa e voi prendetela. (Lo spinge in mezzo la scena)
Se bramate la sposa e voi tenetela. (Fa passare Pollastrina vicino a Pandolino)
Oimè, sento che il cor mi balza in su!
                                        Deh permettete...
Pria dovete giurar, poi mangiarete.
vi dico che per ora non si magna. (A Pandolino e Pollastrina, poi parte)
E intanto dalla fame s’ha a morire?
all’uffizio gentil di dispensiera
a pranso, a colazion, merenda e cena,
vi darò da mangiar a pancia piena.
nulla m’ha dato e se n’è andata via.
e finora per noi non v’è cuccagna.
vi sono al mondo. L’una è di coloro
che traggono il mangiar dal suo lavoro.
che cerca di mangiar senza far niente.
sono gli altri d’umor lieto ed ingordo.
degno è di star in nostra compagnia.
                                        Via, pensate;
quai siano i riti nostri, io sarò pronta
                                 Vi sarò grata.
le prime a bellettarsi e farsi i ricci,
i secondi a ordinar torte e pasticci.
più di quello che può, di quel che deve.
senza trovar nessun che dica niente.
ciascun sen va colla sua sposa in letto.
                                                  Sì, Pollastrina,
quella bella regazza è vostra moglie?
se il buon governator lo accorderà.
quelli ch’ha bella donna per consorte
noi faremo anche adesso il matrimonio.
                                    Sì, per appunto.
al mio caro sposin grazioso e bello.
che quel che s’usa qui col protettore
                                          Via, sposatevi.
È una gran bella cosa il canto e il suono;
tutto mi dà nel genio e mi conforta
                                          Oh siete pazza,
e il marito, se vuol, pensi per sé.
                         Lasciate che vi cerchi.
preparate ogni libro, ogni strumento,
per far la gran funzion del giuramento.
Ah, signor protettor, me l’han rubbata.
                                S’intende.
                                                     Io morirò.
                                          Io giurerò.
non lasciate di dir quel che dich’io.
                                     Oh questo poi...
giurar come dich’io, vi scaccierò.
Prometto... di non essere... geloso.
                                         Oh sì, prometto
Di mangiar quanto posso e sempre bere.
                                      Se non giurate
anco questo di far, partite, andate.
signorsì, signorsì, giuro far tutto.
dove il bere e il mangiar non si sparagna.
Puoi saziar quanto brami ogni appetito
ma sei di Pollastrina il bel marito.
Signor no, signor no, pazzia non è;
l’ho presa e l’ho sposata sol per me.
Vuo’ più tosto morire. Oh messer no.
Fra l’amore, l’onore e l’appetito,
parlano i miei pensieri ed io rispondo.
                                Mi piace assai.
senza che alcuno spenda, alcun lavori.
Vi voglio soddisfar. Sappiate, amica,
certe ricche persone e piene d’oro
beffeggia nel suo cuor chi gliel’ha dato.
Per dir la verità, pensando anch’io
                                        V’è pericolo
                                           V’è purtroppo
Come parla costei! Non par che siano
di cuccagna addattati ai cor contenti.
che ci fa vergognar del nostro stato.
                                  Non ci pensate.
scaccio il pensiero e faccio a modo mio.
                                    Lo vederete
ch’hanno preso in cuccagna il lor partito
                                  Si fan servire
finché dura il bel fior del vago viso.
                                 Di loro alcuna
e la men scaltra gioventude addestra.
mantenute da sciocchi a proprie spese.
Il nostro di cuccagna è il vero regno
Così dei piacer suoi ciascun si scusa;
basta di poter dir: «Così si usa».
Finor per causa tua son stato in pene.
ma non del tutto ancor. Vi vuole assai,
poiché due giorni intieri digiunai.
                                         Anch’io patisco,
                                      Io t’amo tanto.
dei cibi al buon odor cedé l’affetto.
vieni che ci abbracciamo un pochettino.
Vieni che sei il mio caro Pandolino. (Si abbracciano)
La sua moglie abbracciar non è vergogna.
Lo faremo in segreto. (Piano a Pollastrina)
                                          Non temere;
lo farem che nessun potrà vedere. (Piano a Pandolino)
voglio mostrarvi il vostro appartamento.
Dunque non posso andar colla mia moglie?
Non intendo, signor, tal complimento.
sai che donna ch’io son e tanto basta.
                                  Là in quella stanza.
                                    Sì francamente?
dell’uso nostro, onde per dirla, amico,
vado e di voi non me n’importa un fico.
Signor quand’è così si serva pure.
voi sarete ogni giorno più contento. (Entra in camera con i doni)
quel ch’io faccio lo fo per complimento.
Pandolino, dov’è la moglie vostra?
Posso andar quando voglio e voi tacete.
e ancor vorreste far il bell’umore?
cosa v’è in quei bacili e in quei cestoni.
li reca di sua mano il buon Lardone.
Meraviglio, signor, vada, è padrone.
che sia contro l’usanza. Mi ramento
la moglie in casa troverò stassera.
                                     Le vostre luci
Vedete a vostra moglie quanti onori. (A Pandollino)
                                                  Andiamo pure.
Grazie di tanto onor. Consorte, addio. (Partono Pollastrina, Lardone e Compagnone)
Oh questa poi mi spiace sopra tutte.
                                         In questa parte
s’ha da dar da mangiar anco ai mariti.
se mangia lei, voglio mangiar anch’io. (Parte)
come presto ogni scrupolo ha scacciato!
quando l’uomo ha dei vizi e non guadagna,
presto, presto si addatta alla cuccagna.
                                             (È assai ripieno).
                                          Non me n’offendo;
so che non parla lui ma parla il vino. (Parte)
                                   Deh no, fermate,
se vagliono con voi di donna i prieghi.
Vi ringrazio, signor. (Ma me ne vado,
ei s’avesse a rifar co’ fatti miei). (Parte)
che avete mai che andate traballando?
Fermati; vuo’ che stiamo in allegria. (Prende una bottiglia e vuole che tutti bevano)
che ci addittar gli esploratori nostri.
che d’ozio vive e mangia all’altrui spese
saccheggiam la città de vizi piena;
Ecco, signori miei, la cioccolata. (Servi portano tre cioccolate)
                                        Via, sediamo.
(Io piuttosto un cappon mi mangierei). (Da sé)
                                    Con sua licenza
ma, non dubiti, so la convenienza. (Tira la sedia lontana da loro e siede in modo che poco li vede)
Queste usanze, signor, s’imparan presto. (I servi portano la cioccolata a Pandolino)
                                    Caro Lardone.
                                          Oh non si parla.
intantoché facciam conversazione. (Siede presso Pollastrina. Parte un servo)
Avete riposato? (Bevendo la cioccolata)
                                Sì signore.
colla zuppa, il piccion, il pane e il vino.
Questa, questa è la vera cioccolata. (Frattantoché le due donne fanno scena con Pandolino, Pollastrina e gli altri due mostrano di discorrer assieme)
                                  Con pulizia. (Gli mettono la salvietta al collo e siedono con lui)
                                        Aimè, respiro.
Questo grasso piccion par di botiro.
Lei badi a’ fatti suoi, ch’io bado ai miei.
L’esempio è una lezion che insegna tutto. (A Lardone)
Noi gli uomini rendiam accorti e scaltri. (A Pollastrina)
Facilmente si fa quel che fan gli altri. (A Compagnone)
Vorrei, se si potesse, un po’ ballare.
                                   Andiamo pure.
                                            Eh non importa.
si fa quel che si vuol, sia notte o dì.
                                              Nel mio giardino.
E poi vengo in giardin a divertirmi. (Entra nella sua camera)
di qualcheduno che gli allacci il busto.
Questo della cuccagna è il nuovo gusto.
                                      Vi dirò.
perché il governatore ha preso il posto.
Ognun de’ aver le convenienze sue.
Quando si tratta poi di compiacervi,
e c’impiegan se fossimo anche cento.
vi son, signore mie, tant’obligato.
                                    Sì, ma che gusto
                                        E nol sapete?
né si cura d’andar in precipizio.
dal gran piacer, quando a ballar andate?
Vi dirò io perché; perché si trova,
perché si può parlar con questo e quello,
perché nel far le controdanze in tanti
si può far qualche scherzo con gli amanti.
non per ballar... Ma vanno... Brave, brave.
                                     Oh via, marito,
prendermi per la moglie un tal imbroglio.
                                         Via provate
immersi nel piacer, li assaliremo. (Tutti si ritirano)
Viva, viva il bel tempo e l’allegria.
                                           Balliamo tutti.
nei quai ballando in molti, come i matti,
si puon far di quei scherzi così fatti.
una bella e graziosa controdanza. (Si dispongono in figura di ballare la controdanza. I suonatori la suonano e li personaggi principiano a ballarla)
Ma da noi che cercate? E chi voi siete?
alla spada, al cannon e forse al remo.
                                             Voi che in bagordi
gli uomini serviranno; e vedrà il mondo
ch’è bella la cuccagna in ogni loco
ma per proprio destin suol durar poco.
                                          Di questo, o caro,
su la mia fé, su l’amor mio lo giuro.

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