Metrica: interrogazione
137 ottonari in Il festino Parma, Monti, 1757 
   Il gran mondo d’oggidì,
che ogni dama ha il cavalier.
Mi direte: «Ed io non l’ho».
   Vi sovrasta, o donne belle,
per destin del sesso imbelle
gl’infelici ad insultar.
   Si contenti l’uomo ingrato
di sua forza, del suo stato
ed impari l’uomo anch’esso
il bel sesso a rispettar.
   Ve l’ho detto e vel ridico.
Eh lo so che non vi spiace.
   colle belle memoiselle,
Ma da me più non tornate.
Non vi vuo’, non mi seccate
colla vostra libertà. (Parte)
   Borsa mia che magra sei,
borsa mia che avrò da far?
   Riverente a voi m’inchino.
Vi son serva, o mio signor.
                       Perdonate.
                             Obbedirò.
   (Ma lo crede, già lo vedo). (Da sé)
(A costei tutto non credo). (Da sé)
(Chi sa finger tutto può). (Ognuno da sé)
                         Vi son serva.
                       Obbedirò. (Parte il cavaliere)
   Son quattr’anni che l’ho presa;
una volta non l’ho intesa
   Via, madama, collo sposo
sia quel labbro più amoroso,
più discreto il vostro cor.
   Caro sposo! Bel marito! (Burlescamente)
Conte mio, verrò all’invito
obbligata dell’onor. (Al conte)
   Son per lei tenuto anch’io. (Al conte)
ch’io so fare il mio dover. (Ad Alessio)
   Oh cospetto. Più rispetto.
Son marito e cavalier. (Alterato)
   Non gridate, non bravate.
                            Voi sudate.
Vi potete accomodar. (Offre il fazzoletto a madama per asciugarsi la fronte)
Quest’è troppo, padron mio,
non si può più sopportar. (Al conte)
   Indiscreto! (Ad Alessio)
                           Gnora sì. (Burlando)
                   Va così. (Come sopra)
   Ah per me non vi sdegnate, (Passa nel mezzo caricando di finezze don Alessio)
son per voi di cor sincero;
quest’abbraccio v’assicura.
Questo bacio a voi lo giura.
a madama di buon cor. (Si volta a madama)
                             Che vi par?
Imparate a conversar. (A don Alessio)
   Ma il marito, mia signora,
non si deve strapazzar. (A madama Doralice)
   Non si deve? Che maniera
                             Signorsì.
                          Va così.
   Ah signora in cortesia
tralasciate in grazia mia.
Fate ch’io non preghi invano
ch’io vi bacio di buon cor. (Le bacia la mano)
Sono amico e servitor. (Voltandosi a don Alessio)
   Imparate. (A don Alessio)
                         Ho già imparato. (Accostandosi a lui passando in mezzo)
                       Pace di core.
s’ha fra noi da coltivar.
   Viva pure l’allegria
   Vederem quest’abitone.
Sì, madama, anch’io ne godo.
Di buon gusto anch’io vi lodo.
(Chi crediam gliel’abbia fatto?
Il marito non ne ha). (Piano alla baronessa)
   Voi sarete la più bella,
la più ricca e più pomposa
che da ridere mi fa!) (Parte)
   «Mama mia, vorrei ballare».
«Figlia cara non si può.
Fa’ la nana, se ti pare,
figlia mia, stassera no».
   «Figlia mia, tu sei bonina».
«Mamma mia, vorrei ballar».
che al festin non s’ha d’andar».
   «Mamma mia vorrei ballare».
«Figlia mia, si ballerà.
Fa’ la nana, se ti pare,
che al festin poi s’anderà». (Canta in faccia le due dame burlandosi di loro)
   Ehi amica, che facciamo?
Con il conte c’intendiamo,
non vorrei, padrona mia... (A donna Rosimena)
   Dunque voi non mi volete? (A donna Rosimena)
   Con licenza, con rispetto
io mi vado a solazzar. (Alla contessa)
Ah ci ho tutto il mio diletto,
mi vedrete in quella stanza
come un diavolo saltar. (Parte)

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