Metrica: interrogazione
124 settenari (pezzi chiusi) in Statira Venezia, Rossetti, 1742 
   Asciuga su quegl’occhi
   Non vale il cuor d’un re
   Lampo che tosto fugge,
   Sovengati che ingrata (Ad Aspasia)
   Perché se la spietata (Ad Artaserse)
   Caro, quest’occhi mira
e di’ se son più quelli
   Anche il nocchier difende
   Quella che il cor m’accende
quando virtù il richieda,
   D’amor più non parlarmi,
   Non lice a te d’amarmi
   Mira d’entrambi il ciglio.
Di’ qual ti sembra ingrato;
stringiti al seno un figlio
   Godo del tuo tormento,
   Padre, se reo foss’io,
   Lascia che il labro mio
   Se certo esser poss’io
   Non paventar quell’empio; (Ad Ariarate)
Perfido senza esempio, (A Dario)
   Povero figlio odiato (Ad Ariarate)
ma...) Quel tuo ciglio irato (A Dario che la mira)
   T’amo, bell’idol mio;
   Donami un guardo almeno.
   Tutti gli affetti miei (Da sé)
Dario, tu quel non sei (Da sé)
   Scaldi e fecondi il tutto,
viva la tua beltà. (Mentre si canta il coro, i due re siedono nel luogo loro destinato e Aspasia vien condotta avanti il nume per essere incoronata d’alloro)
   E se fia che vi sprezzi
   Dell’Allegrezza il nome
   Dell’Allegrezza il nome

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